AFRICA

Proteste contro l’uso del cianuro nelle miniere d’oro in Sudan

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 5 aprile 2017

Nei giacimenti auriferi del Kordofan settentrionatale, uno dei diciotto Stati federali che costituiscono il Sudan, viene utilizzato il cianuro per l’estrazione e la lavorazione dell’oro.  Alla luce dei gravi rischi che la cianurazione pone – in particolare l’inquinamento delle falde acquifere – la popolazione del distretto di Sodari ha chiesto con un memorandum alle autorità del luogo, di vietare entro settantadue ore l’uso di tale tecnologia. Per il suo alto grado di tossicità, l’uso del cianuro è vietato in molti Paesi.

Proteste contro l’uso del cianuro nelle miniere d’oro sono in atto un po’ in tutto il nord del Sudan, dopo la morte di quattro minatori e di altri due finiti in ospedale, per aver respirato il veleno altamente tossico, a causa di un’interruzione dell’apporto di ossigeno in una galleria del giacimento, particolarmente stretta e profonda.

estrazione oro in Sudan

Radio Debanga, un’emittente generalmente ben informata, ha fatto sapere che la scorsa settimana due persone che protestavano insieme ad altri contro l’uso del pericoloso composto chimico, sono stati malmenati e feriti a Talodi, nel Kordofan meridionale da componenti del corpo paramilitare “Central Reserve Police” (Abu Tira), incaricati della sorveglianza della miniera aurifera di Talodi.  Dopo gli scontri sono stati chiamati rinforzi. Ora la zona è praticamente blindata.

Un altro attivista ambientalista è stato fermato e interrogato dal “National Intelligence and Security Services” (NISS), con l’accusa di resistenza armata in diversi giacimenti auriferi. Fortunatamente ha potuto dimostrare di non possedere armi e di non essere coinvolto in tale faccenda.

oro, in Sudan i minatori rischiano la vita

Padre e figlio sono stati selvaggiamente picchiati e seriamente feriti da paramilitari mentre effettuavano controlli alla centrale elettrica di El Sawarda alle quattro del mattino, per un’interruzione di corrente. Evidentemente sono stati scambiati per ambientalisti, intenzionati a sospendere l’erogazione di corrente elettrica nel vicino giacimento aurifero.  Per entrambi è stato necessario il ricovero in ospedale, ha fatto sapere il portavoce del gruppo ambientalista locale.

In Sudan si estrae l’oro solamente dal 2015, una nuova fonte di reddito indispensabile per l’ex protettorato anglo-egiziano a causa dell’isolamento economico dovuto alle sanzioni internazionali, anche se, secondo i più, buona parte dei proventi vanno in tasca ad alti funzionari governativi e commercianti stranieri Pur troppo l’attività estrattiva è ancora poco regolamentata dal punto legislativo, in particolare per quanto concerne l’uso del mercurio e del cianuro, che inquinano terreno e falde.

Come succede spesso in Sudan, le proteste dei cittadini vengono sedate con la repressione. E’ stato anche il caso di alcuni studenti dell’Università di Khartoum nord. All’inizio del nuovo semestre, il consiglio accademico aveva deliberato che gli studenti del Darfur sarebbero stati esenti dalle tasse universitarie, per poi ribaltare questa decisione un mese dopo.  Per tutta risposta gli universitari darfurini hanno organizzato un sit-in di protesta lo scorso fine settimana. Lunedì dieci di loro sono stati fermati dal NISS. Sono stati rilasciati durante la stessa notte, ma cinque di loro con in tasca una denuncia per aver organizzato una rivolta nell’ateneo. Sette studenti sono stati espulsi dall’università, tra loro anche qualcuno vicino alla laurea.

Tra la fine di febbraio e i primi di marzo le autorità sudanesi hanno rimpatriato centoquindici migranti provenienti da Etiopia e Eritrea. Erano stati fermati dalle Rapid Support Forces (RSF), che dalla seconda metà del 2016 sono incaricati del controllo delle frontiere con la Libia e con l’Egitto, dopo gli accordi siglati con l’Unione europea per arginare il flusso migratorio.

Mohammed Hamdan Dagl

Peccato solo che l’attuale comandante delle RSF, Mohamed Hamdan Dagl, (detto Hametti) era uno dei capi dei famosi Janjaweed, i diavoli a cavallo che bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.
E con la risoluzione nr. 1556 del 30 luglio 2004 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva chiesto al Governo del Sudan di disarmare le milizie islamiche Janjaweed e di catturare e sottoporre a processo i leaders di tale forza armata, responsabile di alcune tra le peggiori atrocità e di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario.

Alla fine degli anni Duemila i janjaweed, per troppo tempo sotti i riflettori, erano stati sciolti (ma più formalmente che di fatto), ma riattivate nell’agosto 2013 sotto il comando del NISS (National Intelligence and Security Service) i servizi segreti del regime sudanese, per combattere contro le ribellioni presenti in Darfur, nel Sud Kordofan e nel Blu Nile.  

Non è dato di sapere quanti eritrei siano stati consegnati alle forze di sicurezza della nostra ex colonia e nemmeno il luogo esatto, probabilmente a Tessenei, che dista pochi chilometri dal confine con il Sudan.  

Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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