Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 aprile 2017
Un grosso quantitativo di uranio estratto dalle miniere del Niger sarebbe sparito e con lui sarebbe scomparsa un’ingente somma di denaro. Il settimanale indipendente dell’ex colonia francese, Le Courrier, ha riportato che vi sarebbero implicate anche società russe e libanesi, oltre alla francese Areva e dagli atti risulta una transazione bancaria di 319 milioni di dollari, effettuata il 12 dicembre 2011 dal conto parigino della SOPAMIN (Società del Patrimonio delle Miniere del Niger, una compagnia statale), sul conto della società privata Optima (libanese) a Dubai per la vendita di 5,5 milioni di libbre di uranio.
Alcune Organizzazioni non governative (ONG) del Niger hanno depositato una querela contro ignoti al tribunale di Niamey perché venga aperta un’inchiesta sulla vicenda, soprannominata “Uraniumgate”.
“E’ un affare gravissimo – ha sottolineato Moussa Tchangari, portavoce delle ONG e ha aggiunto – La giustizia nigerina deve pronunciarsi e aprire un’inchiesta. Questa faccenda non deve restare impunita”.
Su richiesta dell’opposizione, il Parlamento dell’ex colonia francese ha nominato una commissione d’inchiesta composta da dieci membri. Secondo “Le Courrier”, dopo le prime audizioni della commissione, sono già usciti alcuni nomi di società coinvolte, tra loro anche quella del gruppo nucleare francese Areva.
Sembra che nei documenti appaia il nome dell’attuale ministro delle Finanze del governo di Niamey, Hassoumi Massaoudou, che all’epoca era il direttore del gabinetto del presidente del Niger, Mahamadou Issoufou.
Naturalmente il ministro ha negato qualsiasi suo coinvolgimento, accusando l’opposizione di manipolazioni.
Ha inoltre assicurato che nemmeno un grammo di uranio sarebbe mai uscito dal Paese senza i dovuti e necessari controlli. “La catena di vendita e acquisto dell’uranio è trasparente – ha sottolineato Massaoudou -. D’altronde viene tutto controllato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica (AIEA)”.
Sempre secondo l’attuale ministro delle Finanze, all’epoca l’ex colonia francese avrebbe tratto profitto da tale transazione, perché nelle sue casse sarebbero affluiti 1,2 milioni di euro in cambio dell’utilizzo del nome della SOPAMIN, operazione che definisce come “trading legale” e “regolare”.
C’è comunque da chiedersi cosa c’entrava in quell’affare l’allora direttore di Gabinetto del presidente. Il diretto interessato ha risposto durante una conferenza stampa lo scorso febbraio, dichiarando di aver ricevuto una delega dal direttore dell’epoca della SOPAMIN, Hamma Hamadou. Non è chiaro perché Hamadou abbia delegato Massaoudou.
Nei prossimi giorni dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sarà ascoltato anche l’attuale direttore della SOPAMIN, Hama Zada. Una volta terminate le audizioni, la Commissione avrà quarantacinque giorni di tempo per depositare il proprio rapporto.
Il Niger è tra i dieci Paesi più poveri del nostro pianeta – il reddito annuo pro capite supera di poco i quattrocento dollari – eppure il suo sottosuolo dispone di ricchezze non indifferenti, come oro, ferro, carbone, petrolio, ma soprattutto uranio, del quale è il quarto produttore su scala mondiale.
Il prezioso minerale è stato scoperto per caso ad Azelik, nel nord del Paese, dall’Ufficio francese per Ricerche geologiche e minerarie nel 1957. In seguito sono stati individuati altri giacimenti di uranio in Niger. L’estrazione commerciale è iniziata solamente nel 1971.
Cornelia I. Tolgyes
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