Franco Nofori
Mombasa, 2 aprile 2017
L’8 settembre 2015, in una Milano resa vetrina mondiale dall’Expo, il ministro della Giustizia del Kenya, Githu Muigai, dopo aver visitato alcuni padiglioni insieme al suo presidente Uhuru Kenyatta, entrambi accompagnati nella visita dal guardasigilli Andrea Orlando, aveva finalmente siglato un accordo di assistenza giudiziaria e penale con il suo omologo italiano. In altre parole, veniva infine data attuazione a quella norma bilaterale, rimpallata per estenuanti decenni, che consentiva l’estradizione di elementi colpiti da mandati di cattura internazionali emessi dai rispettivi Paesi.
E’ ben risaputo che, prima di questo accordo, il Kenya era diventato l’isola felice di un gran numero di malandrini stranieri che, oltre a sottrarsi alla giustizia del proprio paese, non contribuivano certo alla creazione di un’immagine positiva delle proprie comunità in Kenya, soprattutto, per quanto riguarda gli italiani, nella regione costiera.
Il Kenya ha atteso sedici mesi prima di dare attuazione a questo accordo, ma proprio in questi giorni ha infine deciso di muoversi arrestando Mario Mele di Malindi, Fulvio Leone di Mtwapa e Stefano Poli di Kilifi. I tre, tutti colpiti da mandato di cattura della magistratura italiana, sono stati catturati con un blitz dall’Interpol keniana e detenuti a disposizione della polizia italiana per l‘espatrio.
Mario Mele, 56 anni, gestiva a Malindi una discoteca ed un attivissimo bar: il “Pata Pata” nel complesso del nuovo centro commerciale Nakumatt. Originario della provincia di Nuoro, dove era considerato il “Re delle discoteche”, Mele possedeva numerosi locali in Barbagia e nella Gallura. Latitante dal 2013, a seguito di una condanna emessa dal tribunale di Nuoro per evasione fiscale, l’imprenditore sardo, stando alle risultanze della Guardia di Finanza, aveva frodato le casse dello stato italiano per l’incredibile somma di 17 milioni di euro. Quando i militi si erano recati al suo domicilio per arrestarlo, Mele si era già rifugiato in Kenya.
Diversa e la storia di Fulvio Leone, un genovese sessantanovenne che viveva, in condizioni di precarietà finanziaria a Mtwapa, nel distretto di Kilifi. Leone era colpito da due mandati di cattura internazionali emessi dai tribunali di Torino e di Genova rispettivamente nel 1992 e nel 2007 che si riferivano reati commessi nel 1983 quando il pregiudicato era appena trentacinquenne. Si trattava di un cumulo di reati sui quali capeggiava lo spaccio di droga. Leone riuscì a sottrarsi all’arresto approdando in Kenya 23 anni fa e da allora, grazie alla connivenza di alcune autorità locali, ottenne nel 2009 la cittadinanza keniana e poco dopo, nel 2012, gli fu anche rilasciato un certificato di buona condotta, grazie al quale, nello stesso anno, poté addirittura ottenere la licenza di porto d’armi. Tutto questo mentre il mandato di arresto internazionale circolava presso tutte le sedi Interpol del pianeta, Kenya incluso.
Difficile ottenere informazioni dettagliate circa sul terzo arrestato, Stefano Poli, originario della provincia di Bergamo, che è arrivato in Kenya un anno fa. Al seguito aveva un’enorme moto, cui lui stesso sembra attribuisse un valore di oltre diecimila euro. Ha girovagato un po’ alla ricerca di una casa, finché qualche mese dopo il suo arrivo, ne aveva acquistatata una nella zona Boffa di Kilifi. Lì aveva fissato la sua residenza. Notizie non confermate asseriscono che sia stato condannato in Italia per varie frodi finanziarie e fiscali, ma mancano oggettivi riscontri in proposito, sta di fatto che anche il suo arresto, ad opera della polizia del Kenya, pare sia stato effettuato su mandato della giustizia italiana.
La stampa locale ha dato grande risalto a questi arresti, ascrivendoli, un po’ frettolosamente, a un traffico internazionale di droga che coinvolgerebbe un dozzina di persone. In realtà l’unico riscontro per ora certo è che gli arresti siano semplicemente avvenuti in esecuzione ai mandati di cattura internazionali. I giornali del Kenya hanno anche enfatizzato la ferma volontà del governo di non trasformare ex colonia britannica in un rifugio per pregiudicati, ma nessuno parla mai delle colpevoli connivenze che hanno consentito a queste persone di installarsi nel Paese godendo di granitiche protezioni.
Nei mesi a venire si potrà meglio valutare la genuinità di queste iniziative perché di pregiudicati nostrani, in Kenya, ce ne sono ancora molti, anche colpiti da condanne molto più pesanti di quelle inflitte ai tre appena arrestati. Vedremo se tra loro rimarrà intonsa la categoria degli “intoccabili” o se la giustizia del Kenya saprà finalmente riscattarsi da un passato non proprio edificante fatto di favoritismi e di corruzione. A quel punto saremo ben lieti di poter esprimere un plauso incondizionato a questa iniziativa.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
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