Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 24 febbraio 2017
Un video, agghiacciante, che mostra la brutalità dei soldati dell’esercito del Congo-K (FARDC), è stato consegnato ad alcuni media e poi messo in rete e fatto circolare sui social network. Il filmato documenta come una pattuglia di soldati abbia represso barbaramente una protesta popolare, ammazzando senza pietà quindici militanti del movimento che porta il nome di Kamuina Nsapu, un leader tradizionalista, ucciso lo scorso agosto dalle forze dell’ordine. Il ribelle era un medico sulla trentina. Aveva soggiornato a lungo in Sudafrica. Era ritornato nel Congo solo nell’aprile 2016, ma da tempo invitava la popolazione all’insurrezione. Il suo movimento viene considerato come “gruppo terrorista” dalle autorità congolesi, ma nel filmato i miliziani sono armati solamente di bastoni, clavi e fionde.
Le violenze si sono consumate a Mwanza Lomba, un villaggio nel Kasaï-Orientale, ad una trentina di chilometri da Mbuji-Mayi, capoluogo della Provincia. Le scene del video sono raccapriccianti, altrettanto il linguaggio usato dai sei militari coinvolti, che si scambiano battute in lingala e swahili.
In un primo momento le autorità di Kinshasa, tramite il loro portavoce, Lambert Mendé, hanno fatto sapere che secondo loro si tratta semplicemente di un montaggio. Ma personalità di spicco della società civile hanno sottolineato che sarebbe doveroso che la missione dell’organizzazione delle Nazioni Unite in Congo-K aprisse un’inchiesta. Anche Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato USA è intervenuto in tal senso presso il governo congolese, chiedendo di approfondire e di identificare le persone che hanno commesso tali eccessi. La stessa richiesta è pervenuta anche da Zeir Ra’ad al Hussein, alto commissario dell’ONU per i diritti umani; anche alcuni diplomatici hanno espresso la loro preoccupazione per questo abuso di forza. Al Hussein mercoledì scorso ha nuovamente rimproverato le autorità congolesi perché i militari dell’esercito avrebbero ucciso oltre cento persone durante altri scontri verificatisi tra il 9 e il 23 febbraio scorso nel Kasaï Centrale.
Dopo queste pressioni, Kinshasa ha annunciato mercoledì scorso di aver inviato una commissione, formata da alti magistrati militari, nel Kasaï Orientale e Centrale per le verifiche e gli accertamenti del caso.
Le violenze nel Congo-K sono all’ordine del giorno e non solo da parte delle forze regolari. Sabato scorso sono stati uccisi venticinque civili hutu da miliziani dell’etnia Nande. Le vittime maschili sono stati ammazzati barbaramente a colpi di machete, mentre l’unica donna, con un colpo di arma da fuoco; si punta il dito sui Maï-Maï Mazembe. Il feroce attacco si è consumato nel villaggio di Kyaghala e dintorni nel Nord Kivu. Secondo Hope Kubuya, responsabile della società civile locale, tale attacco riaccende le violenze interetniche nella Regione.
I Maï-Maï – milizie tradizionali che combattono dopo essere stati sottoposti a iniziazioni magiche ed esoteriche – sono stati molto attivi nella seconda guerra del Congo. Ma le loro tracce si possono già osservare nelle guerre seguite all’indipendenza, raggiunta nel 1960. Allora li chiamavano simba, cioè leoni in swahili. Maï-Maï vuol dire acqua. I miliziani credono infatti che le pallottole dei nemici a contatto con la loro pelle si trasformino in acqua e quindi non li uccidano.
I miliziani Maï-Maï sono ricomparsi sulla scena qualche mese fa e sono responsabili di altri gravi attacchi, l’ultimo risale allo scorso Natale, durante il quale sono morte trentacinque persone.
Gli Hutu sono ancora visti come stranieri dalle altre comunità, come i Kobo, i Nande e gli Hunde, che si considerano autoctone. Negli ultimi mesi le violenze etniche si sono susseguite da entrambe le parti. Il 13 febbraio scorso un commando di miliziani Nyatura, della comunità Hutu, ha assalito dei contadini di etnia Nande e Hunde nella Regione, sgozzando tre persone, altre tredici sono state rapite.
Anche altre bande armate, come quella mistico-politica Corps du Christ, rendono insicuro il Nord-Kivu. Il loro leader supremo, David Maranata, un ex autista di tassì e trafficante di armi tra la frontiera con l’Uganda, divenuto in seguito predicatore, è stato arrestato lo scorso 7 febbraio dall’esercito congolese, con l’accusa di essere a capo di una banda criminale. I miliziani di questo gruppo settario, apparso sulla scena lo scorso ottobre, prega sulle montagne sacre nei dintorni, ma non esitano ad impugnare le armi, creando non pochi problemi ai caschi blu di MONUSCO. A dicembre un soldato sudafricano ha perso la vita in uno scontro con gli adepti del Corps du Christ. Infatti gli adepti sono convinti che i politici creino solamente problemi e disordini e la loro missione “sacra” consiste nel mettere fine a tutto ciò e creare un nuovo sistema che “obbedirà” solamente alla Bibbia.
Questi illuminati dal misticismo-politico, sono l’ultimo dei sintomi della profonda crisi politica che affligge la ex colonia belga. La firma dell’accordo di pace tra governo e opposizione a tutt’oggi non è riuscito a fermare le violenze in tutto il Paese (http://www.africa-express.info/2017/01/15/congo-k-la-firma-di-un-accordo-tra-governo-e-opposizione-non-ferma-le-violenze/).
Il presidente, Jospeh Kabila, al potere da ben sedici anni, è uno dei tanti leader africani che amano restare incollati alla loro poltrona. Il suo mandato è scaduto a metà dicembre, ma lui ha semplicemente rinviato le elezioni. In un primo momento le prossime presidenziali si sarebbero dovuti svolgere nel 2018, ma il trattato firmato anche dall’opposizione, autorizza Kabila a restare in carica solamente fino alla fine del 2017.
Anche l’opposizione stenta a ricompattarsi ed a scegliere il nuovo leader dopo la morte di Etienne Tshisekedi, morto all’inizio del mese a Bruxelles, all’età di ottantaquattro anni. La nomina di un suo successore urge, in quanto Tshisekedi avrebbe dovuto presiedere il nuovo Consiglio di transizione (CNT), secondo gli accordi pace.
Ma nella ex colonia belga la crisi non è solamente politica, ma abbraccia anche altri settori, in particolare quello finanziario. L’industrializzazione è in una fase di stallo, anche a causa della galoppante corruzione a larga scala, che coinvolge soprattutto i politici – tra loro anche deputati e senatori congolesi, “servitori dello Stato” tra i meglio pagati del pianeta.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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