Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 8 febbraio 2017
All’inizio del mese i ribelli, leali all’ex vicepresidente del Sud Sudan Riek Machar, hanno accusato l’Egitto di aver effettuato raid aerei sulle loro postazioni.Cairo ha immediatamente negato un suo coinvolgimento.
In un comunicato, il Sudan People’s Liberation Movement-in-Opposition (SPLA-IO), guidati appunto da Machar, che attualmente si trova in Sudafrica per cure mediche, ha puntato il dito contro l’Egitto; secondo SPLA-IO sarebbero state le forze aeree del Cairo ad aver lanciato almeno nove bombe e altro esplosivo sulla loro base, situata nei pressi del villaggio di Kaka, nello Stato dell’Upper Nile, ricco di giacimenti petroliferi.
Il portavoce del ministero degli Esteri egiziano, Ahmed Abu Zeid, ha replicato che il suo Paese non si intromette negli affari interni di un altro Stato.
La smentita di un coinvolgimento egiziano è arrivata anche dal portavoce della presidenza sud sudanese, Ateny Wek Ateny, sottolineando il nonsenso di tali accuse. E ha precisato: “Questa manciata di ribelli vive in mezzo alla popolazione e noi non possiamo bombardare il nostro popolo”.
E’ pur vero che Kiier si è recato in Egitto all’inizio di gennaio, dove si sono svolti colloqui a porte chiuse. Ma è poco probabile che i due capi di Stato abbiano preso in considerazione un appoggio diretto nel conflitto interno da parte del governo del Cairo. Ufficialmente il dialogo era improntato sulla questione della diga sul Nilo e Abd al-Fattah al-Sisi cerca sempre nuovi alleati tra i membri del Nile River Bassin.
Machar è scappato da Juba, la capitale del Paese, dopo terribili scontri nel giugno del 2016. Kiir e Machar hanno firmato diversi trattati di pace, ma il cessate il fuoco è sempre stato interrotto per l’incapacità di entrambi di controllare le proprie truppe. Entrambe le parti sono accusate di crimini contro l’umanità, stupri, violenze di ogni genere e di aver utilizzato bambini soldato.
L’attuale situazione nel Sud Sudan è frutto di una guerra civile iniziata tre anni fa: il presidente Salva Kiir Mayardit aveva accusato il suo vice Riek Marchar di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. Da allora sono iniziati i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri si sono verificati a fine 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto hanno raggiunto anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non fanno che alimentare questo conflitto.
Questa’ultima guerra civile ha portato sull’orlo del baratro una buona parte della popolazione. Solo nei primi mesi del conflitto oltre quattrocentomila persone hanno abbandonato le loro case. Decine di migliaia hanno cercato rifugio nei campi delle basi dell’ONU, che ben presto si sono trasformati in veri e propri campi per sfollati.
Gli ultimi dati rilevati dall’United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) sono catastrofici: dall’inizio del conflitto a fine 2016, oltre tre milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case a causa delle violenze, i morti sono decine di migliaia. Si muore anche di fame, perchè le Organizzazioni umanitarie non governative spesso non possono raggiungere molte zone a causa delle violenze in atto o per le cattive condizioni delle strade, specie nei periodi di pioggia. Due giorni fa sono decedute due donne, forse anche più di due, nel Eastern Equatoria State, nella Regione di Kapeota, mentre cercavano di raggiungere l’Uganda. Scappavano dalla fame e hanno trovato la morte.
Nel più giovane Stato della Terra oltre cinque milioni di persone necessitano di aiuti umanitari. Si muore di fame nel Sud Sudan. Le donne sono terrorizzate, le violenze sono all’ordine del giorno. (http://www.africa-express.info/2016/01/01/stupri-omicidi-violenze-di-ogni-genere-la-vita-delle-donne-in-fuga-dal-sud-sudan/). Fame e stupri sono vere e proprie armi da guerre,
Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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