AFRICA

I Leoni indomabili del Camerun hanno ruggito ancora. Dopo 15 anni

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 5 febbraio 2017

I Leoni indomabili del Camerun, re della foresta ma anche del calcio africano. Da ieri notte sono i nuovi campioni del continente nero. Hanno fatto un sol boccone del favoritissimo Egitto.

Separatisti in casa, ma uniti sul campo, a Libreville, in Gabon, (stadio de l’Amitié) hanno ridimensionato le pretese e le ambizioni dei Faraoni. A due minuti dalla fine, un meraviglioso gol di Vincent Aboubakar, 24 anni, accasato nella squadra turca del Besiktas, ed entrato dopo l’ intervallo, ha sbloccato il risultato di 1-1. E così La 31a edizioni della Coppa delle Nazioni africane è andata al Camerun, che ha rimontato quando era sotto di una rete e ha vinto.

E’ stato uno scontro fra i “titani” calcistici del continente. I Faraoni cercavano il trionfo per l’ottava volta, i Leoni indomabili per la quinta. E c’è l’hanno fatta. L’Egitto e il Camerun da soli hanno vinto oltre un terzo di tutti i tornei della Coppa calcistica delle nazioni africane. Eppure, a dispetto di questo onorato curriculum, nessuna delle due nazionali si aspettava di arrivare a giocarsi la finale, quando tre settimane fa, in Gabon ha preso il via la 31a edizione del torneo.

Il cammino per giungere allo scontro di ieri sera, infatti, non è stato proprio lastricato di sonanti successi e di bel gioco. L’Egitto si è qualificato agli ottavi con due striminzite vittorie per 1-0 e un pareggio ed è sbarcato ai quarti di finale con un terzo 1-0 e in semifinale grazie al suo portiere El Hadary, alla quinta partecipazione a 44 anni (definito un eroe improbabile), che ha parato due rigori contro il sorprendente Burkina Faso (classificatosi terzo grazie alla vittoria per 1-0 sul Ghana ottenuta sabato sera).

Il Camerun ha fatto quasi peggio: è arrivato ai quarti di finale con due pareggi e una vittoria; ai quarti ha sconfitto il Senegal ai rigori e in semifinale ha finalmente piegato il Marocco

Egitto e Camerun si erano trovati di fronte per la conquista dello scettro calcistico africano già due volte: nel 1986 al Cairo con la vittoria dei padroni di casa ai rigori( 5-4) dopo i tempi supplementari chiusisi senza gol e nel 2008 ad Accra , in Ghana, con i Faraoni ancora vittoriosi (1-0). Il portiere era già allora El Hadary.

Ieri sera le due squadre hanno stabilito il record della finale più giocata in assoluto (assieme a Nigeria Cameron): tre.

Se si guardano i precedenti fra le due nazionali, la favorita era pur sempre quella delle Piramidi. Negli ultimi 20 anni, su 9 partite, sei sono state appannaggio dei Faraoni, una del Camerun e due sono finite in parità . Negli ultimi 13 anni non ha perso una partita nelle fasi finali!

Esultanza dei giocatori del Camerun dopo la vittoria

I numeri, insomma, erano tutti a favore dell’Egitto, che di questa ottava vittoria aveva bisogno come delle acque del Nilo . Il trionfo calcistico veniva sentito come necessario a superare, o a lenire, le piaghe che attanagliano la nazione.

Non solamente la religione – si sa – ma anche il pallone è l’oppio dei popoli, si potrebbe dire invocando il concetto marxista. O, se si vuole andare più indietro al poeta latino Giovenale, il “panem et circenses” è sempre attuale.

“La gente desidera di nuovo un po’ gioia dopo un così lungo periodo di crisi”, scriveva Vanguardngr.com, il sito dell’omonimo quotidiano nigeriano, citando un tifoso del Cairo, Rabib Hilal, 68 anni. “La vittoria serve a ridarci il nostro prestigio”, ribadiva Amra Mustafa, un ingegnere di 33 anni.

Sentimenti condivisi – è facile presumerlo – dalla massa dei fans egiziani: da almeno 5 anni l’estremismo islamico, la crisi politica , economica e sociale hanno colpito duramente la popolazione e acuito certe tensioni internazionali.

Come ben sappiamo anche noi italiani. Per una incredibile coincidenza quasi un anno fa in Egitto venne ritrovato, sulla superstrada Il Cairo – Alessandria, il corpo martoriato del giovane ricercatore triestino dell’università di Cambridge, Giulio Regeni.

Il clamore e lo scandalo suscitati dal suo brutale assassinio, che coinvolge il governo, non si sono attenuati. Anzi, nell’antivigilia della finale calcistica, in diverse parti d’Italia sono stati organizzati cerimonie religiose, letture collettive, eventi vari per non dimenticare e chiedere di non smettere di cercare la verità. La Rai, proprio sabato notte, ha mandato in onda uno toccante speciale dal titolo “Tutto il male del mondo”, che ha messo insieme ” le inchieste giornalistiche, i frammenti di verità, le tante bugie” sulla sorte del ventottenne friulano.

Se la sconfitta in Gabon non porta neppure momentaneamente quel sollievo tanto atteso dal popolo egiziano, per l’allenatore della nazionale essa sembra perpetuare una maledizione che lo insegue da decenni.

Hector Cuper, 61 anni, argentino giramondo, soprannominato “Uomo verticale”, ovvero tutto d’un pezzo, assunto dalla federazione egiziana in seguito a un bando via internt, ha infatti perso l’ennesimo appuntamento con la storia. Era riuscito a riportare i Faraoni in finale dopo tre edizioni bucate ma non ce l’ha fatta a sconfiggere questa maledizione (o sfiga? ), che lo perseguita nei tanti Paesi dove ha allenato.

Alcuni esempi. Nel 1994 per un pelo perse il campionato in Argentina, nel 1997 la Copa del Rey col Mallorca in Spagna, nel 1998 la finale di Coppa Delle Coppe contro la Lazio di Eriksson.

Nel 2000 e 2001, quando guidava il Valencia, ancora in Spagna, arrivò in finale ed entrambe le volte fu sconfitto. Il 5 maggio 2002 (data fatidica: ieri era il 5 seppure di febbraio) la Juventus gli soffio uno scudetto già vinto e nel 2009 vide svanire all’ultimo la Coppa di Grecia.

Questa volta sembrava dovesse sconfiggere il maledetto sortilegio. E invece l’hanno spuntata i camerunesi, che hanno soddisfatto la loro sete di vendetta nutrita dal 2006 quando furono sconfitti (2-0) in finale proprio dal Egitto.

Oltretutto Il Camerun sembrava una squadra dal destino segnato fin dall’inizio della Coppa d’Africa. Ben 7 giocatori , pilastri della squadra, convocati dal commissario tecnico belga Hugo Broos , 64 anni, avevano addirittura disertato e non si son presentati: hanno preferito restare in Europa, dove giocano.

La federazione calcistica Camerunese era allo sbando “come una nave senza nocchiere in gran tempesta”, direbbe Dante. Lo stesso allenatore era contestato dalla stampa ancor prima di sbarcare in Camerun ed era stato costretto a ripiegare su giovani entusiasti, ma immaturi.

Insomma la situazione era tale che i Leoni invincibili erano stati scherniti come Leoni ingestibili!

Una volta conquista la finale, il capitano Benjamin Moukandjo si era preso la rivincita con i giornalisti durante la conferenza stampa: “Sono sicuro che nessuno fra di voi avrebbe scommesso un centesimo su di noi. Peccato, avrebbe guadagnato parecchio”.

I Leoni però non han dovuto sconfiggere solo lo scetticismo della stampa, ma anche condizioni olitico-sociale un po’ più ostiche. Il Camerun, infatti, da alcuni mesi sembra aver perso una certa qual stabilità (per una nazione africana).

Il Paese, da alcuni mesi, sta vivendo – ha scritto il prestigioso settimanale Jeune Afrique – una fronda da parte delle due regioni anglofone del nordest e del sud est confinanti con la Nigeria. Una minoranza di attivisti comincia a parlare di federalismo, ovvero di separatismo. E le tensioni crescenti – ai primi di dicembre – hanno portato a sanguinosi scontri fra manifestanti anglofoni e forze dell’ordine. Bilancio: numerosi morti.

Il bilinguismo, come è noto, è eredità della storia del Camerun, ex colonia tedesca passata alla Francia e poi alla Gran Bretagna fino al 1960, anno dell’indipendenza.

Esso coinvolge – ricorda ancora Jeune Afrique – circa il 20 per cento dei 23 milioni di abitanti.

Il fenomeno non aveva mai creato seri problemi e tanto meno all’interno della nazionale calcistica, dove su 23 giocatori tre rappresentano la minoranza anglofona: Clinton Mua N’jie (che gioca nel Marsiglia), Robert Ndip També (Sparta Trnava in Slovacchia) e Fai Collins (difensore dello Standard Liegi).

Qualche malumore, per la verità , era sorto negli anni ’90 per bocca del capitano Stephen Tataw, che si sentiva trascurato dalla parte francofona. “Ma poi – ricorda l’ex allenatore della nazionale camerunense Claude Le Roy – Stephen aveva imparato il francese proprio in nazionale”.

E l’attuale allenatore Hugo Broos che venendo dal Belgio conosce bene le schermaglie bi-linguistiche, conferma: “Io parlo sempre francese, che tutti capiscono, ma quando qualche giocatore mi si rivolge in inglese, non c ‘è problema alcuno. Certo, se non si conosce la lingua, ci sono gli interpreti, ma i sentimenti espressi con le parole tue non sono gli stessi”.

Una allusione neppure tanto indiretta al suo “sfigato” avversario, Hector Cuper, che ha sempre dialogato con i suoi Faraoni tramite l’interprete arabo-spagnolo. Ma per ora tutti i camerunesi festeggiano, francofoni e anglofoni. Con il canto in “Pidgin”, un miscuglio di parole inglesi, francesi e altre prese in prestito dalle centinaia di dialetti del Camerun.

L’Egitto cercava prestigio e un po’ di sollievo. Non li ha trovati. Il Camerun si accontenterebbe di ritrovare l’unità in piena crisi anglofila. E Hector Cuper cercherà la qualificazione per i Mondiali (o una nuova squadra?) e un potentissimo amuleto.

Costantino Muscau
c.muscau@alice.it

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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