Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 4 febbraio 2017
L’Alta Corte Federale della Nigeria ha tolto temporaneamente all’ENI e alla Shell la concessione detenuta dal 2011 pariteticamente dalla due società, per lo sfruttamento del campo petrolifero offshore OPL245. Il giacimento nel golfo di Guinea, di fronte allo Stato di Bayelsa, è il più ricco di tutta l’Africa, è situato a una profondità di 1300 metri (cioè superficiale) ed è stato valutato in 9 miliardi di barili. Le società di diritto nigeriano di proprietà di ENI e Shell sono indagate per una tangente di 1,2 miliardi di dollari che sarebbe stata versata per ottenere le concessioni di sfruttamento, ora sono sospese fino al termine dell’inchiesta.
Le agenzie anticorruzione della Nigeria stanno indagando a fondo sulle accuse rivolte alla NAOC (Nigerian Agip Oil Company, la sussidiaria nigeriana di proprietà dell’ENI) e alla SPDC (Shell Petroleum Development Company of Nigeria, dell’anglo-olandese Shell) di avere sottoscritto un “fraudulent agreement”, cioè un accordo fraudolento, con una società di proprietà dell’allora ministro del petrolio e di altri politici di vecchio corso. Le accuse ipotizzate sono “associazione per delinquere, corruzione, corruzione di funzionari del governo, e riciclaggio di denaro”.
Indagini sul presunto caso di corruzione sono state aperte anche dai giudici italiani e olandesi, che accusano l’ex amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni, e l’attuale ad, Claudio Descalzi, allora direttore operativo della società petrolifera di Metanopoli. Raccogliere le prove però è difficilissimo. Innanzi tutto perché la Nigeria è uno dei Paesi più corrotti al mondo e poi perché nel contesto nigeriano è difficile riuscire a far parlare qualcuno. Regna infatti l’omertà e tutti hanno paura delle conseguenze che può avere una collaborazione con la giustizia.
La vicenda di cui i giudici nigeriani sostengono di avere le prove, è questa: nel 1998, mentre è Presidente della Federazione nigeriana Goodluck Jonathan, il blocco viene assegnato all’allora ministro del petrolio Dan Etete, alla società Malabu Oil And Gas. Gli inquirenti hanno dimostrato che il ministro e altri politici avevano azioni in quella società. Dopo che la Saipem effettua una serie di ricerche e prospezioni, che garanticono la presenza di 9 miliardi di barili, la concessione di sfruttamento del campo viene venduta all’ENI e alla Shell dietro pagamento di una tangente di 1,2 miliardi di dollari.
Secondo i giudici nigeriani, ENI e Shell sapevano perfettamente che la concessione era stata acquisita della Malibu fraudolentemente. Ciononostante l’avevano acquistata. Una sorta di ricettazione. Le due compagnie, sempre secondo le accuse, hanno comprato i diritti di sfruttamento del blocco versando al governo nigeriano 210 milioni di dollari e avrebbero trasferito, attraverso un conto presso la JPMorgan Chase bank garantito dal governo nigeriano, 1,2 miliardi di dollari. La Shell si è difesa dicendo che si è trattato del prezzo pattuito. Secondo un documento stilato dagli inquirenti “le investigazioni hanno rivelato che si è trattato di una tangente versata a Dan Etete e ai sui soci nell’affare”.
ENI e Shell negano ogni addebito. La Shell ha detto di conoscere la questione e di avere fiducia nei giudici italiani “per dimostrare che noi non c’entriamo nulla”. L’ENI invece ha sostenuto di non avere avuto nessuna notifica del provvedimento di sospensione della concessione e comunque di non doversi rimproverare nulla perché “la transazione è stata pulita e trasparente”.
Massimo A. Alberizzi
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