Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 3 febbraio 2017
Étienne Tshisekedi wa Mulumba, il simbolo dell’opposizione della Repubblica Democratica del Congo, l’uomo che per più di tre decenni ha osato sfidare il potere di tre dittatori, è morto a 84 anni a Bruxelles. Da tempo era ammalato di diabete e i suoi viaggi in Belgio per sottoporsi a cure mirate erano frequenti.
Tshisekedi era amato dal popolo congolese, specie quello dei bassifondi di Kinshasa e i suoi discorsi infuocati erano capaci di galvanizzare e mobilitare le folle. Riusciva a riempire le strade e le piazze della capitale di suoi sostenitori che affrontavano coraggiosamente poliziotti e soldati. Questo però non gli era bastato per raggiungere la poltrona della presidenza della Repubblica.
Pochi giorni prima di morire ancora una volta aveva giocato un ruolo cruciale nella vita politica del Congo-K, cercando di unificare l’opposizione contro l’attuale presidente che, nonostante siano terminati i due mandati previsti dalla Costituzione, ha rimandato di un anno le elezioni.
Ho incontrato Tshisekedi l’ultima volta parecchi anni fa nella sua casa di Limetè, uno dei quartieri di Kinshasa, sulla strada per andare all’aeroporto. Come spesso gli accadeva era stato messo agli arresti domiciliari e, per evitare che gli accadesse qualcosa, i suoi militanti avevano preso il controllo dell’intera zona.
Erano gli ultimi giorni del dittatore maresciallo Mobutu Sese Seko e i miliziani di Laurent-Désiré Kabila, un vecchio capo guerrigliero, trafficante di minerali preziosi e contrabbandiere, scelto dagli americani per far saltare gli equilibri del Paese e padre dell’attuale presidente, erano alle porte della capitale. I giornali erano pieni di notizie gonfiate e di analisi che poi si sarebbero dimostrate avventate. Ma tutti si domandavano quale ruolo sarebbe stato riservato al grande oppositore.
Nel 2006 Tshisekedi boicotta le elezioni presidenziali vinte da Joseph Kabila, che aveva incassato la fiducia e il sostegno degli americani, dei francesi e dei belgi, mentre scende in campo per le successive del 2011. Kabila perde il supporto degli occidentali, supporto che però non si sposta su Tshisekedi, che perde di nuovo. Accusa l’avversario di brogli e gli osservatori internazionali gli danno ragione, ma non accade nulla.
Il suo rapporto con Laurent Kabila e con il figlio Joseph, succeduto alla presidenza della Repubblica dopo l’assassinio del padre il 16 gennaio 2001, è stato sempre conflittuale, mentre con Mobutu ha avuto fasi alterne: grande amicizia e galera e torture. Passava dal ruolo di ministro (anche primo ministro) a capo dell’opposizione. Tshisekedi aveva soprannominato il dittatore “il Caligola zairota” (la Repubblica Democratica del Congo era stata ribattezzata Zaire dal maresciallo). Qualche anno fa, richiesto un suo paragone sui regimi di Mobutu e Kabila, ebbe a dire: “Mobuti esercitava solo la forza, Kabila forza e repressione”.
Campione fino all’ultimo e animato da una instancabile dalla passione politica, pochi mesi fa, nonostante si avvicinasse agli 84 anni, aveva dichiarato di essere pronto a presentarsi alle elezioni presidenziali e in grado di reggere le sorti del Paese. Ma Joseph Kabila, il cui mandato scadeva nel dicembre scorso, aveva posposto il voto di un anno. Uno sgambetto micidiale al vecchio lottatore.
Con Tshisekedi il Congo perde un protagonista d’eccezione. Sarà difficile trovare nell’immediato un sostituto. La sua morte spiana a Joseph Kabila la strada verso il potere assoluto. Sarà difficile che il president accetti le elezioni entro quest’anno, come invece ha promesso.
Massimo A. Alberizzi
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