Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 2 dicembre 2016
La libertà di espressione in Sudan è sempre più un optional. In risposta alle tre giornate di disobbedienza civile, che si sono svolte dal 27 al 29 novembre, Omar al Bashir, presidente dell’ex protettorato anglo-egisiano, ha ordinato agli uomini del NISS (acronimo inglese per “National Intelligence and Security Services” ) di requisire i quotidiani dell’opposizione. Solo nella giornata di mercoledì sono state confiscate le copie di cinque giornali. E’ la punizione per chi diffonde notizie, che hanno un impatto negativo sulla sicurezza nazionale. Domenica è stata chiusa anche l’emittente televisiva Omdourman.
I media sostengono che queste misure sono state attuate per la pubblicazione di articoli relativi alle giornate di protesta, che si sono svolte nei giorni scorsi. I giornalisti del “ Sudanese Journalists Network” (SJN ) sono entrati in sciopero mercoledì contro le severe misure prese dal governo e lo strapotere del NISS, che nel febbraio 2015 aveva attuato la confisca di ben quattordici quotidiani senza che vi fosse data spiegazione alcuna.
Le giornate di disobbedienza civile sono state indette da giovani attivisti, che hanno diffuso lo svolgimento via facebook e twitter: una protesta contro il piano di austerità varato dal governo sudanese dall’inizio del mese di novembre. Tali misure comprendevano anche l’aumento del prezzo della benzina, dell’elettricità e dei medicinali e di altri beni di prima necessità; alcune delle misure sono state ritirate all’ultimo momento, sperando di poter così evitare le agitazioni. Alcuni partiti dell’opposizione e movimenti di ribelli hanno sostenuto e appoggiato la protesta.
Le tre giornate di sciopero si sono svolte non solo a Khartoum, ma anche in altre città del Paese. Molti i negozi chiusi, come pure scuole e università. Domenica scorsa sono stati arrestati venti attivisti in diverse città sudanesì.
Omar al-Bashir è al potere da ben ventisette anni e sul sua testa pende un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, per crimini contro l’umanità e genocidio nel Darfur. Naturalmente Bashir ha respinto tutte le accuse e recentemente ha chiesto il ritiro dei caschi blu, che si trovano nella Regione dal 2007.
E proprio a Genina, capoluogo del Darfur occidentale, sono stati rapiti tre collaboratori dell’UNHCR (“Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati”) domenica scorsa. I tre, due nepalesi e un sudanese, sono stati portati via da uomini armati in un fuoristrada. Il sequestro è stato confermato da Abdallah Gar al-Nabi, portavoce del governo del Darfur occidentale.
Durante il conflitto nel Darfur sono state uccise oltre trecentomila persone e duemilioni e mezzo hanno dovuto lasciare le proprie case. Ma le pene di questo popolo non sono ancora terminate, continuano stupri di massa e altre violenze (http://www.africa-express.info/2015/02/15/ordine-ai-soldati-sudanesi-stuprate-tutte-le-donne-di-quel-villaggio/).
Al-Bashir certamente non può essere considerato un presidente mite, che governa nel rispetto delle leggi internazionali e salvaguarda i diritti umani. Malgrado ciò, pur di arginare il flusso dei migranti dell’area sub sahariana, l’Italia e l’Unione Europea sono pronti ad aprire il portafoglio e hanno intrapreso trattative con il suo governo (http://www.africa-express.info/2016/09/05/sudan-nella-guerra-contro-i-migranti-litalia-finanzia-e-aiuta-i-janjaweed/) e (http://www.africa-express.info/2016/09/07/gli-accordi-segreti-tra-europa-e-dittatori-africani-per-combattere-limmigrazione-illegale/)
Al’inizio della settimana l’inviato del governo tedesco per il Sudan e il bacino del Nilo, Rolf Welberts, ha incontrato a Khartoum il ministro per gli affari esteri Ibrahim Ghandour. Naturalmente il tema principale all’ordine del giorno sono stati gli accordi di partenariato tra i due Paesi per arginare l’immigrazione e i traffico di esseri umani. Il Sudan è uno dei maggiori Paesi di transito per chi vuole raggiungere i porti della Libia, per poi proseguire per le nostre coste. E proprio a questo proposito la Germania aveva già stanziato un sostanzioso finanziamento di dodici milioni di Euro.
Ma non solo: il 14 maggio 2016 il quotidiano “Die Zeit”(edizione on line) riporta che la “Gesellschaft fuer Internationale Zusammenarbeit” (GIZ), (in italiano: società per la cooperazione internazionale) dovrebbe dirigere il progetto del controllo delle frontiere in Eritrea e in Sudan. Il quotidiano tedesco precisa che in base a ricerche effettuate dall’emittente televisivo ARD nel programma “Magazin Report Mainz” e del settimanale “Spiegel” il progetto della protezione delle frontiere farebbe parte di un fondo europeo per combattere le cause della fuga. Secondo i due media esisterebbero dei documenti di negoziazione e degli accordi in tal senso. “Die Zeit” sottolinea, che in linea di massima dovrebbe essere interrotta la collaborazione con il Sudan e l’Eritrea per le violazioni dei diritti umani nei due Paesi, ma secondo il “ Bundesentwicklungsministerium” ( in italiano: Ministero per lo Sviluppo) il progetto può essere realizzato, visto che viene finanziato con fondi dell’UE.
Tale progetto comprende anche la fornitura di equipaggiamento per la protezione e i controllo delle frontiere, come autovetture, telecamere, scanner, server, oltre all’addestramento delle forze di sicurezza. L’UE stessa però ha intravisto la possibilità di un uso improprio del materiale. Potrebbe essere utilizzato per ulteriori repressioni contro la popolazione civile. Secondo il Ministero per lo Sviluppo tedesco i dettagli del progetto sarebbero ancora in fase di elaborazione e per quanto concerne l’equipaggiamento, non sarebbe ancora stata presa una decisione.
Non è dato di sapere se il progetto è ora in fase di attuazione, ma il solo fatto che sia stato pensato, che siano state avviate trattative in tal senso, va contro ogni principio etico e morale.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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