Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 novembre 2016
Le accuse di Amnesty International verso le forze dell’ordine italiane non perdonano: casi di abusi e violenze, talvolta persino equiparabili a torture, pur di “estorcere” le impronte digitali ai profughi nei quattro hotspot operativi in Italia: Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto.
Matteo de Bellis, ricercatore del segretariato di Londra dell’Organizzazione, ha intervistato centosettanta tra rifugiati e migranti in Italia. Le testimonianze – alcune delle quali agghiaccianti – sono state raccolte i un rapporto pubblicato oggi. Dura la replica del prefetto Mario Morcone, capo per immigrazione del Viminale, della polizia e di Bruxelles, che prendono le distanze dalle accuse di Amnesty.
Gli hotspot sono stati fortemente richiesti sul nostro territorio dalla Commissione europea, con l’intento di prendere le impronte digitali a tutti. Molti profughi non hanno però intenzione di fermarsi nel nostro Paese. Intendono raggiungere altre mete per riunirsi con familiari o amici in grado di supportarli per iniziare una nuova vita in Occidente, dunque non vorrebbero rilasciare le loro impronte, per evitare l’espulsione e essere rimandati in Italia per il regolamento di Dublino.
Il sistema hotspot e lo screening si attivano non appena si mette piede sul suolo italiano. Non importa se le persone siano distrutte, sotto choc dalla traversata, durante la quale hanno rischiato di morire o perso qualche compagno di viaggio e/o familiare. La burocrazia prima di tutto, anche se i profughi non dispongono di tutte le informazione necessarie sulla procedura per la richiesta d’asilo. Spesso non sono in grado di rispondere alle domande poste dagli agenti di polizia determinanti per il futuro dei nuovi arrivati.
Dal rapporto si evince che nella maggior parte dei casi le procedure da parte degli agenti della polizia vengono effettuate correttamente. Purtroppo però la formazione degli agenti spesso non è adeguata per poter decidere sul futuro di persone che fuggono da Paesi in guerra, conflitti interni, oppressioni, carestie e fame. Dopo una breve intervista, le persone vengono suddivise in aventi diritto all’asilo e NON aventi diritto; a quest’ultimi viene notificato al momento un ordine di respingimento o espulsione, incluso quello del rimpatrio forzato, grazie ad accordi sottoscritti con alcuni dei Paesi d’origine dei profughi.
Basti ricordare l’espulsione di quarantotto profughi sudanesi alla fine di agosto. Un atto a dir poco disumano. Sappiamo bene chi è Omar al-Bashir, che si è macchiato dei più efferati crimini, ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja, eppure l’UE non ha esitato a sottoscrivere accordi con questo dittatore per arginare il flusso migratorio. (http://www.africa-express.info/2016/10/28/i-finanziamenti-italiani-e-europei-agli-stupratori-sudanesi-gli-eurodeputati-scrivono-al-governo-di-roma/). Trattati con altri governi africani sono in fase di attuazione, anche grazie al “safari” in qualità di ambasciatrice dell’UE e della Germania, della cancelliera tedesca Angela Merkel, che poche settimane fa ha visitato alcuni leader di Paesi del Continente nero.
Una volta giunti in Italia, chi fugge da situazioni di estremo pericolo, spera di trovare almeno un po’ di tranquillità, ma l’iter per raggiungere questo obbiettivo, è lungo ed estenuante, anzi succede che la meta rimanga un sogno. E’ accaduto nuovamente (http://www.africa-express.info/2016/01/12/la-morte-di-un-rifugiato-eritreo-e-la-sua-storia-da-migrante/)
a Cagliari, dove ieri, nel reparto di rianimazione è spirato Alizar Kidar Brhane, di vent’anni, giunto sull’isola con lo sbarco dello scorso 21 marzo insieme ad altri 666 compagni di viaggio, dopo essere stati soccorsi in diverse operazioni di salvataggio a largo della Libia.
Alizar è stato trovato per terra, in una pozza di sangue, alle nove del mattino del 1° novembre. Immediato l’intervento del 118, ma le sue condizioni sono apparse subito disperate. Chissà da quante ore giaceva sul freddo pavimento vicino ad un’uscita posteriore dello stabile.
Alizar è fuggito dall’Eritrea quando aveva poco più di quindici anni. I genitori volevano per lui certezze, un domani, una vita vera, senza oppressioni, non un servizio militare infinito. Il viaggio del giovane è stato lungo e penoso. Prima di raggiungere l’Italia, la Sardegna, è stato per tre anni in Libia, in galera, in mano ai trafficanti e alle milizie. Non si sa cosa sia accaduto al giovane, un ragazzo riservato, quasi timido, rispettoso. Attendeva con ansia il giorno della ricollocazione, che gli era già stata concessa. La sua morte è avvolta ancora da un fitto mistero.
Aggiornamento
Secondo le ultime notizie, cinque organi di Alazar sono stati espiantati. Lo ha comunicato Ugo Storelli, responsabile dell’equipe espianti dell’ospedale Brotzu di Cagliari, precisando che cuore e fegato sono stati trapiantati a Bologna, i reni in Sardegna, mentre i polmoni a Padova.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes
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