In Sudan l’Europa si affida ai terroristi per bloccare l’immigrazione

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 10 settembre 2016

Per arginare il flusso migratorio dall’Africa, alla fine di luglio, in una conferenza stampa congiunta,  la Commissione UE e Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, hanno proposto misure atte ad assistere gli Stati partner, compreso il Sudan, nell’attività della  gestione delle frontiere e dei migranti. In breve, sono previsti finanziamenti per migliorare la sicurezza. Eccezionalmente si prevede anche di sostenere le forze armate negli Stati partner dell’UE.

Dunque il finanziamento dell’UE dovrebbe coprire oltre alle spese per lo sviluppo militare anche quelle relative alla sicurezza delle persone, come il controllo dei confini, gestione delle attività migratorie, sminamento, disarmo e smobilitazione di ex-combattenti.

“Investire nella sicurezza è nell’interesse dell’UE e degli Stati partner, dobbiamo affrontare insieme il terrorismo, i conflitti e l’estremismo. Dobbiamo mettere i nostri partner in condizione  d poteri affrontare autonomamente la propria sicurezza, la stabilità e l’amministrazione”, ha precisato la Mogherini.

Federica Mogherini, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

La proposta della Commissione prevede che i finanziamenti, stanziati inizialmente per lo sviluppo, dovranno essere utilizzati per la sicurezza delle frontiere e altro. In questo modo non sarà necessario stanziare altri fondi.

Sembra effettivamente che l’esercito sudanese sia tra i beneficiari di questi finanziamenti. Nel mese di giugno il governo della ex-colonia britannica ha inviato  forze paramilitari nell’ovest del deserto, al confine con la Libia. Qualche settimana  fa sono stati arrestati trecento profughi in viaggio verso le coste libiche per raggiungere il nostro Paese.

Il corpo paramilitare Rapid Support Forces (RSF) fa parte dell’apparato di sicurezza sudanese. Peccato solo che il loro comandante sia Mohamed Hamdan Dagalo ‘Hemet’,  l’ex-capo dei terribili, sanguinari janjaweed, responsabili di stragi nel Darfur. Nei rapporti dell’ONU i janjaweed vengono spesso schedati come terroristi.

Secondo  rapporti del 2015 dell’ong Human Rights Watch, i membri dell RSF  sono stati responsabili di infiniti crimini contro i civili, macchiandosi dei gravissimi reati di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ecco chi sono i partner dell’UE. Ma tutto ciò era prevedibile e anche l’Italia ha la sua parte di responsabilità. Infatti, poco meno di un anno fa sono stati ripresi i dialoghi bilaterali tra il governo italiano e le autorità sudanesi.

Lapo Pistelli, ex-sottosegretario agli esteri, oggi vicepresidente dell’ENI

Centro dei colloqui è stato naturalmente il Processo di Khartoum, elaborato e imbastito da Lapo Pistelli, ex-sottosegretario degli affari esteri, (oggi vicepresidente dell’ENI), nel 2014, durante il semestre di presidenza dell’Italia al Consiglio europeo. Pistelli si era recato dapprima in Eritrea per riallacciare i rapporti con la nostra ex-colonia, dove vige il peggior regime dittatoriale dell’Africa per poi proseguire il suo viaggio a Khartoum, dove ha incontrato anche Omar Al Bashir, presidente del Sudan sul quale pende a tutt’oggi un mandato di cattura internazionale per genocidio e crimini di guerra.

Questi incontri e altri diedero inizio al “Processo di Khartoum”: in sintesi, una sorta di intesa per affrontare il problema migratorio in seno alle relazioni internazionali accordandosi con dittatori per regolamentare con i loro governi la migrazione, creando centri di accoglienza nei Paesi di transito, e per lottare contro il traffico di esseri umani.

Durante una conferenza, tenutasi nella capitale italiana, alla fine di Novembre 2014, è stato firmato un documento politico  intitolato “Dichiarazione di Roma”, siglato da 58 Paesi:  28 Stati membri dell’Unione Europea, due Paesi Schengen, Svizzera e Norvegia, e 28 paesi africani, tra i quali anche l’Eritrea e il Sudan . L’Algeria compare in qualità di osservatore. Il nostro ministro degli interni, Angelino Alfano, definì così lo storico accordo: “Difende la dignità umana e unisce tutti i paesi interessati contro la criminalità e la migrazione illegale”.

Lo scorso novembre, durante il “Vertice di Malta”, al quale hanno partecipato leader europei e africani, si sono stabiliti alcuni punti chiave nel tentativo di arginare il grande flusso migratorio definito “illegale”. Tra l’altro è stato riconosciuto da tutti i partecipanti che la migrazione comporta una responsabilità condivisa dei paesi di origine, di transito e di destinazione. A tale scopo l’Unione Europea ha messo a disposizione per l’emergenza in l’Africa un fondo fiduciario di 1,8 miliardi di Euro.

 In tale accordo è anche previsto una più stretta collaborazione per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio, riammissione e reinserimento;  migliorare la cooperazione sulla migrazione legale e la mobilità; affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello spostamento obbligato; prevenire e combattere la migrazione irregolare, il traffico dei migranti e la tratta di esseri umani.

Il nostro ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha sempre sottolineato:  “L’immigrazione non riguarda soltanto le iniziative umanitarie ed il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica”. Ottimo proposito, restato però  sulla carta.

Questo principio è stato anche evidenziato da Neven Mimica, commissionario dell’UE per lo sviluppo. Dopo la conferenza stampa di luglio si è espresso in questi termini: “La sicurezza e lo sviluppo vanno mano nella mano”.

Repressione in Sudan

Secondo l’UNHCR, il Sudan rappresenta la nazione di maggior transito per i profughi somali e eritrei, che numerosi cercano di raggiungere le nostre coste.

Gli attivisti sudanesi hanno fortemente criticato la politica dell’UE a riguardo della campagna contro la migrazione illegale e i trafficanti di uomini e il relativo stanziamento di somme ingenti ai leader africani.Temono giustamente che i pacchetti d’aiuto verranno utilizzati principalmente dagli apparati di sicurezza per opprimere ancora di più la popolazione e produrranno, così facendo, sempre nuovo migranti che scappano da persecuzioni, da Paesi dove i diritti umani sono praticamente inesistenti.

 Il fine giustifica i mezzi, diceva Machiavelli, dunque, in questo caso, finanziare i dittatori è lecito per liberarsi dai migranti. Peccato solo che i partner scelti dall’UE poco contribuiranno a questa causa.  Anzi.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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