Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 22 agosto 2016
Tutti sanno, ma nessuno parla. E intanto, come abbiamo raccontato nelle puntate precedenti, Cristian Provvisionato, la guardia privata milanese incastrata in un oscuro intrigo, resta in Mauritania, agli arresti in una caserma della polizia. E’ lì dal 16 agosto 2015. Trattato bene certo, ma non può tornare in Italia. Di tanto in tanto il fratello Maurizio e la fidanzata Alessandra vanno in Africa a trovarlo. Quelli che sanno, non vogliono raccontare. Probabilmente perché il trabocchetto in cui è caduto Provvisionato prevede la presenza di spie, faccendieri, ex carabinieri, ex agenti segreti e agenti segreti, società inquisite dalle Nazioni Unite. Sembrano tutti ben protetti da una coltre di omertà.
Uno che sa tutto della vicenda, ma che se parla rischia grosso, è Davide Castro, figlio dell’ex carabiniere Francesco proprietario della società di vigilanza e investigazioni Vigilar, e lui stesso amministratore di una società di diritto spagnolo (la V-Monitoring Intelligence Enforcement Division SL), aperta nel gennaio 2015 e chiusa nel marzo 2016.
Impossibile contattare i due Castro, che però sono in possesso di una esaustiva relazione consegnata nelle loro mani da Leonida Reitano, il professore esperto di O.S.Int (Open Source Intelligence) che era in Mauritania immediatamente prima di Cristian. Anche lui ostaggio del governo africano? Ufficialmente no, di fatto sì. Secondo una nota scritta di suo pugno, Reitano sarebbe dovuto rientrare in Calabria il 9 agosto, ma sapeva anche che avrebbe potuto rimanere in Africa, infatti scrive in un messaggio a una sua amica: “Vediamo quando torno. Qua è tutto mezzo incasinato”. E’ bene ricordare che Cristian viene contattato da Castro jr il 14 agosto 2015 e parte il 16 per la Mauritania. Reitano va a prenderlo in aeroporto e poi, due giorni dopo, torna in Italia, lasciando la guardia privata milanese ostaggio laggiù.
Di Manish Kumar abbiamo scritto nelle scorse puntate. Indiano, residente in Germania è l’amministratore delegato dalla Wolf International, società che sviluppa software per introdursi segretamente in computer e smartphone. Manish, nel tentativo di venire in aiuto di Provvisionato “ingiustamente arrestato, perché non ha commesso nessun reato e non conosce neanche la faccenda”, ha dichiarato ad Africa ExPress, ha inviato al governo italiano una relazione che dovrebbe essere stata consegnata ai magistrati milanesi che si occupano della vicenda dopo un esposto dei familiari di Provvisionato. Dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, perché con i magistrati, complici probabilmente le vacanze estive, non si è riusciti a parlare.
Le Nazioni Unite considerano i software in grado di distruggere le sicurezze informatiche alla stregua delle armi tecnologicamente avanzate: la loro vendita è vietata ai Paesi soggetti ad embargo. Per la loro esportazione serve sempre un certificato di destinazione finale, proprio per evitare che finiscano in mani sbagliate.
Il problema dei servizi segreti e delle società che operano al loro fianco è che possono fare un ottimo lavoro di prevenzione e repressione contro il crimine e il terrorismo, ma se non sono controllate, c’è il rischio che deviino dal loro percorso eticamente corretto e che imbocchino una via che provoca danni e dolori.
E’ quello, probabilmente che sta accadendo a Cristian Provvisionato. Che ci sta a fare agli arresti in Mauritania? Un Paese che si cura dei propri cittadini non dovrebbe abbandonarlo così, al di fuori di ogni principio etico e corretto.
Davide Castro sostiene di aver avuto affidata da Manish Kumar la responsabilità della vendita dei prodotti della Wolf Intelligence in Africa. I due avrebbero venduto il software di spionaggio alla Mauritania, ma qualcosa si è inceppato. Dopo la consegna dei primi dodici programmi, gli africani volevano il tredicesimo. Sostengono di averlo pagato. Manish dice che non è vero. Occorreva quindi un ulteriore bonifico. Ma non a lui, che non ha questo “attrezzatura” informatica. Piuttosto a un gruppo di israeliani.
Secondo fonti diplomatiche delle Nazioni Unite a New York gli israeliani che hanno in mano la chiave di tutto sono due guru dell’informatica, David Sternberg (detto Dudi) e il suo amico Edward Alloni (detto Eddie). E’ da loro,a Gerusalemme, che è volato Manish Kumar nel giugno 2015 per cercare di ottenere l’item numero 13 da girare al governo della Mauritania. Perché quel programma, così essenziale, non è stato venduto al governo africano? Solo per soldi o perché qualcuno non ha voluto che Nouakchott (la capitale della ex colonia francese) entrasse in possesso di qual diabolico e ingegnoso sistema che permette ai governi di controllare oppositori e dissidenti?
Tra l’altro David Sternberg e Edward Alloni sono ben conosciuti dalle cronache. All’inizio degli anni Duemila sono finiti in carcere, condannati dalla Corte di Haifa, per aver violato i sistemi informatici di una banca israeliana, cui hanno sottratto un bel po’ di denaro. Qualcuno sostiene – ma senza fornire prove – che il governo dello Stato ebraico, piuttosto di tenerli in carcere, ha preferito servirsi del loro genio informatico. E così hanno cambiato casacca: dalla divisa di ladri a quella di poliziotti.
Sempre a New York, fonti diplomatiche hanno suggerito di chiedere informazioni sulla vicenda Provvisionato alla Hacking Team, una società di informatica, con sede a Milano, leader mondiale dei sistemi di intrusione nei computer e negli smartphone. La Hacking Team è stata inquisita dal gruppo di investigatori delle Nazioni Unite che indagano sulle violazioni dell’embargo in Sudan, un Paese che certamente non brilla per rispetto dei diritti umani.
Accusata di aver venduto a Khartoum il suo software di spionaggio informatico RCS (Remote Control System), ha sempre negato ogni addebito finché i suoi archivi, in nome della difesa della libertà di pensiero e di opinione, sono stati violati e scandagliati a fondo dagli hacker “buoni”, cioè quelli che lottano contro chi utilizza i sistemi di intrusione per incastrare dissidenti e oppositori. Insomma dai seguaci di Julian Assange e Edward Snowden, i quali considerano ignobile spiare i computer e gli smartphone per motivi politici. E chi lo fa, deve – secondo loro – essere punito. “Informaticamente punito”, naturalmente.
Nel 2014 i funzionari della Hacking Team hanno trattato la vendita del sistema informatico di intrusione RCS con il consigliere alla sicurezza del presidente della Mauritania. L’affare è andato in fumo perché gli africani hanno giudicato il prezzo troppo alto. Ed è per questo che si erano rivolti per l’acquisto alla Wolf International.
Massimo A. Alberizzi
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(3 – continua)
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