La prima puntata di questo reportage si trova qui:
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 19 agosto 2016
Il 16 agosto 2015 la guardia privata milanese Cristian Provvisionato arriva in Mauritania su incarico di Davide Castro, amministratore unico della società di diritto spagnolo V-Monitoring Intelligence Enforcement Division SL e figlio di Francesco, ex carabiniere e titolare della Vigilar una società di sicurezza di Milano. Dopo avere atteso invano un meeting inesistente, il 1° settembre viene arrestato. Di lui non si saprà più niente fino a dicembre. Per quattro mesi la famiglia chiede notizie a Davide Castro e cerca di contattare Manish Kumar, l’amministratore delegato della Wolf Intelligence, l’uomo di cui Castro sostiene di aver conquistato la fiducia. Nessuna notizia poi finalmente, poco prima di Natale, la fidanzata Alessandra riceve una telefonata dall’allora console generale italiano a Rabat, Claudio Martinello, che annuncia l’arresto del loro congiunto.
L’accusa, in un primo momento, è truffa ai danni dello Stato. Ma chiaramente non può essere rivolta a Cristian giacché lui è arrivato in Mauritania da 15 giorni, non sa nulla della compra-vendita dei software per hackerare computer e smartphone e, soprattutto, non ha firmato nessun documento a nome della Vigilar o della Wolf Intelligence. Più tardi l’incriminazione verrà cambiata: attentato alla sicurezza dello Stato, che contempla la pena di morte.
Come spiegato nel primo articolo la trappola che è stata tesa al milanese si manifesta in tutti i suoi contorni e lo scenario si va pian piano riempiendo dei protagonisti, attori di quel mondo opaco e invisibile fatto di spie, misteri profondi, truffatori incalliti, ex carabinieri e faccendieri che vendono fuffa. E, soprattutto, che mentono per tutelare i loro business, spesso al confine della legalità. La matassa del caso di Cristian è ingarbugliata anche perché nessuno vuole svelare il proprio ruolo assunto in questa vicenda. Tutti tacciono, anche il governo italiano che ha parecchie cose da nascondere, comprese le equivoche coperture ad aziende specializzate in strumenti di spionaggio.
Intanto la compagna di Cristian, Alessandra, è disperata. Vola in Mauritania ogni due tre mesi e ci rimane solo pochi giorni. Il biglietto aereo costa abbastanza caro e poi non può continuare a prendere giorni di ferie. In questi giorni è a Nouakchott, ha visto Cristian e ha inviato una lettera al presidente mauritano, Mohammed Ould Abdel Aziz, chiedendo il rilascio dell’uomo arrestato ma innocente. “Qui sono tutti comprensivi, mi hanno aperto le porte della caserma dove Cristan è detenuto – racconta – ma restano irremovibili su una cosa. Che gli vengano restituiti i soldi versati per comprare alcuni software che non funzionano. Sanno perfettamente che Cristan non c’entra nulla con questa storia”.
L’italiano – non ci sono dubbi – è tenuto in ostaggio: se i soldi saranno restituiti Cristian potrà tornare a casa, altrimenti dovrà restare in Mauritania ad libitum sempre che per calcare la mano e aumentare la pressione, a qualche giudice diligente non venga in mente di condannarlo a morte, pena prevista per chi attenta alla sicurezza dello Stato. E a chi si può andare a spiegare che l’accusa è inventata? Ma attenzione: sarebbe sufficiente restituire un milione e mezzo o piuttosto i mauritani pretendono che venga loro consegnata la mercanzia da loro acquistata e cioè il software per controllare telefoni e computer?
Dopo Davide Castro, che contattato da Africa ExPress non vuole parlare, chi conosce almeno qualcuno dei misteri di questa vicenda è Leonida Reitano, il giornalista specializzato in ricerche sulle fonti pubbliche di intelligence, quelle che in gergo vengono definite come O.S.Int (Open Souce Intelligence). Reitano era in Mauritania per conto della Vigilar, la società di Castro. Curioso che un giornalista assuma un incarico per una società che si occupa di investigazioni e che sta cercando di vendere un software di spionaggio. Perché è andato laggiù? Qual era il suo compito preciso? A queste domande non risponde: “Ho raccontato tutto al mio avvocato e quindi non posso aggiungere altro”, spiega gentile. Reitano è ben conosciuto tra i giornalisti perché ha organizzato corsi di investigazione che prevedono l’uso di internet. E sa che lui è stato oggetto di uno scambio di ostaggi. E’ tornato in Italia e al suo posto è rimasto incastrato Cristian Provvisionato. Ma sa anche che in quel mondo è pericoloso, assai pericoloso, parlare e raccontare, cioè fare esattamente ciò che un giornalista deve fare. Si rischia facilmente di sparire, apparentemente suicida.
Il secondo è Manish Kumar, un indiano le cui tracce si possono individuare a Dubai, in Kenya, in Israele, in Germania, in Spagna, a Londra. E’ amministratore delegato della Wolf Intelligence con sede a Monaco di Baviera, una società che, tra l’altro, vende software per spiare a distanza computer e cellulari. Qualche anno fa ha intavolato trattative commerciali con un’azienda milanese ben conosciuta nel settore, la Hacking Team, società accusata dalle Nazioni Unite di aver venduto i sistemi di spionaggio elettronico a regimi, come quello sudanese, che non rispettano i diritti umani.
Manish è amico e forse anche socio di Davide Castro. Ed è lui che ha veduto il software incriminato alla Mauritania, trattando l’affare con il consigliere alla presidenza Hmeyda Ould Bah, che nelle email compare semplicemente come Ahmed Bah, dal quale ha ricevuto un milione e mezzo di dollari. Raggiunto al telefono Manish si mostra disponibile a raccontare le sua versione. Richiama, dopo aver ascoltato un messaggio lasciato in segreteria telefonica. “Io non c’entro nulla – sostiene –. Ho consegnato tutti i 12 programmi che il governo mauritano aveva comprato da me. Ma loro ne vogliono un altro, il cosiddetto 13° item. E per quest’ultimo occorre pagare, stipulare un altro contratto. Tra l’altro, non è un mio prodotto. Io a mia volta lo devo comprare da un fornitore israeliano, il quale non me lo dà, se non lo pago. Io stavo aiutando il governo mauritano a comprare il 13° item; è un favore che stavo facendo al governo mauritano”.
Manish continua il suo racconto: ”Cristian non è un mio dipendente. Lui lavora per Davide Castro che l’ha spedito in Mauritania. Io ho scritto diverse lettere al governo mauritano spiegandogli che lui non c’entra niente, ma non mi hanno mai risposto”. Formalmente è tutto vero. E’ stato Castro amministratore unico della società di diritto spagnolo V-Monitoring Intelligence Enforcement Division SL a reclutare il quarantenne milanese e a mandarlo in Mauritania. Ma non è proprio così semplice sbrogliare la matassa. Prima di Provvisionato nell’ex colonia francese c’era un altro indiano, un certo Nafees, incaricato da Manish, cioè dalla Wolf International. Era lui che avrebbe dovuto illustrare la bontà dei prodotti di spionaggio informatico al governo della Mauritania. Ma era riuscito, accampando motivi di salute, a lasciare il Paese: al posto suo era arrivato a garanzia della regolarità del contratto Leonida Reitano, a sua volta rimpiazzato da Cristian il 16 agosto. Cioè gli uomini della Wolf lasciano il posto a quelli della Vigilar. Perché? Che interesse aveva la Vigilar, visto che il contratto era concluso? Ricomporre il puzzle non è semplice e più si avanza con le indagini, più appare chiaro che nel gioco delle responsabilità il milanese è rimasto con il cerino in mano.
Ribadisce ancora Manish al telefono: “Noi siamo stati pagati per consegnare 12 articoli e 12 articoli abbiamo consegnato. Il 13° non era di nostra competenza ma prodotto da alcuni tecnici israeliani che, ovviamente, pretendono di essere regolarmente retribuiti”. Il governo mauritano sostiene invece che il milione e mezzo versato comprendeva anche l’acquisto di questo 13° articolo”.
Ma chi sono questi israeliani? A chi si era rivolto Manish? E qual è stato il ruolo della Hacking Team in questa vicenda? E i servizi segreti italiani? Sanno qualcosa. Probabilmente sì, tanto.
Massimo A. Alberizzi
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twitter@malberizzi
(2 – continua)
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