Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 18 agosto 2016
Prendiamo Inès Boubakri, ovvero una stoccata per la storia. Una stoccata per il suo Paese, la Tunisia. Un affondo in onore di “tutte le donne arabe” e contro il terrorismo. Un allungo per le donne tutte, che, come lei, lottano quotidianamente per ritagliarsi il loro spazio nella società umana. “Devono credere che esistono e contano”. Altro che fioretto! La medaglia di bronzo di Ines Boubakri alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nella gara di fioretto femminile (è la prima dell’Africa in questa disciplina) ha avuto la potenza di una clava. I Giochi sono ormai in vista del traguardo finale (il 21 agosto), ma questo terzo posto sul podio conquistato l’11 agosto dalla ventisettenne tunisina ha una valenza, che, in questo momento, può oscurare medaglie di metallo più pregiato.
Fra i successi degli atleti africani, infatti, alcuni sono così ovvii e scontati che quasi varrebbe la pena di sorvolarci: dove sono lo stupore e meraviglia per la vittoria dei kenioti David Rudisha (800 metri maschili), Faith Kipyegon (1500 metri femminili), Jemima Jelagat Sumgong (maratona femminile, prima volta per una donna del Kenya)?
E per Ruth Jebet, medaglia d’oro, il 15 agosto, a soli 19 anni sui 3 mila siepi? La giovanissima, mingherlina, Ruth corre da tre anni per il Bahrain, ma indovinate dove è nata? In Kenya! E che dire dell’etiope Almaz Ayana? Il 12 agosto la ventunenne Almaz ha dominato i 10 mila metri, letteralmente demolendo il record del mondo, sia pure con qualche sospetto avanzato dalla stampa britannica sui controlli antidoping del suo Paese. Sempre in tema di vittorie prevedibili, non possiamo sottacere la nona consecutiva sui 3 mila siepi ottenuta dal saltafossi keniota la notte tra il 17 e il 18 agosto: stavolta la medaglia d’oro sul collo se l’è messa Conseslus Kipruto, 21 anni.
Un vero ricambio generazionale, o passaggio del testimone, che dir si voglia: Conseslus ha migliorato il record olimpico dopo 28 anni, portandolo a 8,03,28 nonostante i 36 gradi brasiliani e ha spodestato il compatriota Ezekiel Kimboi, 34 anni, due volte campione olimpico, giunto terzo, ma subito dopo squalificato per essere uscito fuori pista. Il suo erede, appunto Conseslus Kipruto, “porta con se il marchio di garanzia sul luogo di nascita: Eldoret”, ha commentato, sul sito della Federazione italiana di atletica leggera, Giorgio Cimbrico, grande esperto giornalista di atletica.
Eldoret – doveroso ricordarlo – si trova nella contea Uasin Gishu (già nota come Provincia della Rift Valley) ed è ben nota nell’ambito sportivo mondiale: grazie alla sua posizione elevata è il luogo ideale per preparare le gare di corsa di media e lunga distanza. Qui ha sede il centro di allenamento in altura della International Association of Athletics Federations (Iaaf). In questa zona è nato l’indimenticabile Kip Keino, qui si addestrano i migliori corridori del mondo.
Torniamo alle medaglie prestigiose, ma annunciate.
Non possiamo trascurare il superman sudafricano Wayde van Niekerk, che sui 400 metri piani, il 15 agosto, ha battuto pure lui il limite assoluto. Già campione mondiale a Pechino 2015, il religiosissimo Van Nierkee, 24 anni compiuti esattamente un mese prima, ha fatto segnare 43,03 abbattendo il record di Michael Johnson (43,18) che risaliva al 1999.
Nel nuoto, poi, una menzione speciale meritano altri due sudafricani: Chad Le Clos, complessivamente deludente, ma bronzo nei 100 farfalla e quarto nei 200 farfalla. E Cameron Van der Burgh pure argento dietro il fenomenale inglese Adam Peaty nei 100 metri rana.
Se poi guardiamo i piazzamenti, la musica non cambia: in genere o sono stati occupati da corridori del Kenya o dell’Etiopia, a parte il brillantissimo mezzofondista algerino Taouffik Makhloufi (28 anni) secondo alle spalle di Rudisha negli 800 metri. I 10 mila metri maschili, dominati dal britannico ( che poi è un somalo) Mohamed Farah, hanno visto al secondo posto il keniota Paul Kipnghetich Tanui e al terzo l’etiope
Nella maratona femminile, dietro la trentaduenne coriacea, fortissima Sumgong sono spuntate la coetanea e quasi concittadina Eunice Jepkirui Kirwa, che correva per il Bahrain, ma pure lei è nata e cresciuta nella Rift Valley (continua ad allenarsi a Kapsabet) e due etiopi: Mare Dibaba, già campionessa mondiale a Pechino 2015, e Tirfi Tsegaye, maratoneta di valore, originaria di Bekoji, città celebre per aver dato i natali ad altri grandi runners etiopi come Kenenisa Bekele e Tirunesh Dibaba.
E nei 10 mila metri femminili alle spalle di Almaz Ayana sono giunte, nell’ordine, Vivian Cheruiyot (Kenya), Tirunesh Dibaba (Etiopia), Alice Aprot Nawowuna (Kenya), Betsy Saina (Kenya). Sui 3 mila siepi Ruth Kebet, che ha regalato al suo Paese adottivo il primo alloro olimpico, si è lasciata alle spalle di buoni 50 metri una (ex) connazionale, Hyvin Kiyeng Jepkemoi. A proposito della Kebet: dopo il suo successo i keniani – ha scritto Nairobi News – non sapevano se congratularsi con lei o condannarla ( per…alto tradimento). Sul sito la polemica è stata rovente: ha fatto bene o male a “vendersi” per denaro?
La giovane, in effetti, dal suo paese adottivo, il Bahrain, l’ex emirato del Golfo Persico (ora è un regno), è stata premiata con l’equivalente di 52 milioni di scellini keniani, circa 460 mila euro!
Tanti si sono indignati, soprattutto perché hanno paragonato questa cifra al compenso attribuito dal Kenya a un suo corridore rimasto fedele alla madre patria, David Rudisha, confermatosi re degli 800 metri: un misero milione di scellini, meno di 9 mila euro. Altri però hanno scritto: di fronte a una cifra simile chi non andrebbe col Bahrain? Non è mancato chi, alludendo ai cambiacasacche ma in altro campo, malignamente ha commentato: “i politicanti che passano da un partito a un altro, intascano oltre 10 milioni di scellini, chi vince la medaglia d’oro appena 1 milione!”
A proposito di cambiacasacche nello sport, una seconda polemica è scoppiata perché per la prima volta dal 1960 il Kenya non avrà finalisti in una delle ultime gare olimpiche: i 5 mila metri. Si è gridato allo scandalo, perché in realtà 3 keniani ci sono: Albert Kibichii Rop, 24 anni, Paul Chelimo, 26, e Bernard Lagat, 41 anni! Il primo però, gareggia per il solito Bahrain, gli altri due per gli USA.
Di fronte a tali e tanti ori e argenti, perché erigere una fiorettista tunisina a simbolo africano di questa olimpiade brasiliana? La scelta può sembrare arbitraria ed esagerata, ma con i tempi che corrono il suo bronzo acquista un valore altissimo.
Inès Boubakri (ora signora Le Pechoux, come ci tiene a specificare anche tramite il proprio profilo social riportando il cognome del marito pure fiorettista) era entrata nella storia come la prima donna africana ad aver conquistato una medaglia ai Campionati del Mondo di scherma.
Due anni dopo, questa bella tunisina che in Francia ha trovato l’amore e il luogo ideale per coltivare il suo talento schermistico, ha fatto un passo ulteriore, diventando la prima donna africana a vincere una medaglia nella scherma olimpica (l’argento glielo ha levato la nostra Elisa Di Francisca). La stessa Elisa che sul podio si era ammantata della bandiera dell’Unione Europea e aveva dedicato la sua medaglia alle vittime di Parigi e Bruxelles e alla lotta contro il terrorismo. “Ero così emozionata che non me ne ero accorta. Ma il gesto di Elisa, mia avversaria in pedana è bellissimo: anch’io appoggio senza esitazione e con entusiasmo qualsiasi iniziativa che punti a combattere il terrorismo”, ha commentato Inès. Che poco prima si era rivelata anche lei campionessa sportiva e di coraggio con questa dedica speciale: “Che le donne possano trovare un posto nella società. Questa medaglia è storica per la Tunisia. Spero possa essere un messaggio a tutte le donne, tunisine e arabe, soprattutto quelle giovani, perché credano che possono avere un ruolo importante nella società”.
Come ha scritto il sito “Il Pianeta scherma”: “Ines è una di queste: per ritagliarsi il suo ruolo ha scelto una pedana come palcoscenico e un fioretto come strumento d’espressione. Ha lasciato la Tunisia a 19 anni per diventare schermisticamente grande in Francia – lei figlia di tiratrice che ha gareggiato ad Atlanta – ma le sue radici sono rimaste ben radicate nella patria natia. E proprio alla sua terra la campionessa dal cuore d’oro ha voluto dedicare il primo pensiero al termine di una giornata storica, la più bella della sua vita sportiva e non solo”.
Costantino Muscau
c.muscau@alice.it