Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 14 agosto 2016
Intrighi, guerra di spie, coni d’ombra che nessuno vuole illuminare, personaggi dal profilo oscuro, che agiscono con coperture governative, servizi segreti che si muovono senza alcun controllo istituzionale, ex carabinieri chi si sono messi in proprio. In questo scenario – dove l’indicibile più indaghi e più viene a galla – si inquadra la vicenda di Cristian Provvisionato, il quarantaduenne detenuto in Mauritania, esattamente da un anno, con un’accusa gravissima: attentato alla sicurezza dello Stato. Un’incriminazione che potrebbe comportare una sentenza spaventosa: la condanna a morte. Improbabile però, perché anche i mauritani sanno perfettamente che Cristian in questa vicenda non c’entra ed è solo un capo espiatorio, tenuto in ostaggio dal Paese africano. Ma ciò non giustifica il fatto che nessuno si stia occupando di lui. Anzi sembra proprio che qualcuno lo stia sacrificando in nome di interessi diversi, come la sicurezza del nostro Paese. C’è da giurare che, se ci sarà un processo, il governo per evitare indagini metterà il segreto di Stato.
La Mauritania spera così di avere indietro il milione e mezzo di dollari pagato per acquistare un software di intrusione studiato per controllare a tappeto computer e smartphone, ma che, una volta installato, avrebbe potuto spiare anche i computer e gli smartphone del compratore, e cioè la presidenza della Repubblica dell’ex colonia francese. Una transazione di un apparato di spionaggio che le Nazioni Unite considerano un’arma e che deve sottostare alle regole internazionali di vendita delle armi.
Quando il 14 agosto dell’anno scorso lascia la fidanzata Alessandra al mare, Cristian Provvisionato pensa di restare in Mauritania una o, al massimo, due settimane. Ha appena ricevuto una telefonata di Davide Castro che lo invita ad accettare un breve lavoro in Africa. Invece, partito per Nouakchott due giorni dopo, Cristian è ancora lì. Da allora. Bloccato dalla polizia e dai servizi segreti e tenuto agli arresti in una caserma locale.
Davide Castro è il figlio di Francesco Castro, un ex carabiniere titolare della Vigilar, una società di sicurezza senza alcuna competenza specifica nel campo dell’informatica. Durante quella telefonata arrivata sotto l’ombrellone, Davide spiega a Cristian che l’incarico assegnatogli è semplice: presentare al governo dell’ex colonia francese un prodotto di cyber intelligence, cioè sicurezza informatica, da utilizzare per controllare e spiare computer e cellulari (magari installando all’insaputa del proprietario un virus che ne succhia i dati), penetrare nei computer prelevando tutto il contenuto della memoria e tenere sotto controllo il traffico informatico.
Cristian non ha alcuna competenza informatica, ma conosce l’inglese perché ha fatto un corso di sicurezza in Inghilterra. Lui dovrà leggere due paginette con la presentazione dell’azienda. Niente dettagli tecnici perché poi prenderà la parola un ingegnere specializzato che illustrerà ai potenziali clienti, la presidenza della Repubblica della Mauritania, appunto, la bontà del software. Davide Castro spiega sommariamente a Cristian che si tratta di un “prodotto” informatico dedicato alla spionaggio elettronico. In una email successiva, Castro è più preciso: “Come ti ho già accennato telefonicamente in seguito ad alcune attività investigative internazionali da me svolte personalmente nel corso degli utimi anni ho avuto modo di sviluppare alcuni validi contatti nel mondo della Cyber Intelligence. Tra questi mi sono principalmente legato a Manish Kumar, C.E.O di Wolf Intelligence, un’azienda che si occupa dello sviluppo e della vendita di avanzate soluzioni tecnologiche, cyber e Advanced Monitoring Intelligence. Parliamo sia di soluzioni software, sia di dispositivi hardware”.
“Queste soluzioni – spiega bene Davide Castro nel suo messaggio – possono essere vendute solo a governi o agenzie di intelligence governative o di law enforcement. In seguito ad una serie di di incontri tra Milano-India e Dubai (dove ho potuto effettuare un po’ di training) ho deciso di fondare una mia società di intelligence V-Mind con sede a Barcellona e principale motivo sia dei miei viaggi che della mia assenza da Milano”. Quindi Castro sa che sta vendendo alla Mauritania armi, anche se non letali quindi informatiche. E sa anche che è impossibile vendere questo materiale senza i regolari permessi dello Stato che, tra l’altro, prevedono, la presentazione da parte del Paese compratore di un certificato “utilizzatore finale”, nel quale si assicura che quanto è stato acquistato non sarà venduto o comunque passato a Paesi terzi. Un documento necessario a impedire che Paesi sotto embargo riescano a impadronirsi di armi che non possono ottenere per vie legali.
Castro racconta ancora che Manish Kumar, gli ha affidato in esclusiva la gestione per la zona Africa della vendita delle sue soluzioni. “In Mauritania – continua nella sua email a Cristian – rappresenterai la Wolf Intelligence, in qualità di responsabile vendite Area Europa. Non avrei bisogno di visto in quanto il cliente è il governo della Mauritania, una volta atterrato verrai accolto da una persona che ti accompagnerà presso il tuo appartamento. E’ probabile che lo stesso ti chiederà il passaporto per farti mettere in visto. Il passaporto ti verrà poi restituito al termine delle trattative, al momento del tuo ritorno”.
E poi l’affondo profondo con la trappola che Cristian non afferra nella sua pericolosità: “Sostituirai Leonida Reitano, un professore esperto di O.S.INT (Open Source Intelligence, cioè notizie che si possono trovare su fonti pubbliche, come libri, articoli o internet, ndr) (probabilmente ripartirà lunedì o martedì). L’ho già inviato in Sudafrica a luglio sempre per conto di Manish per rappresentare Wolf Intelligence alla Fiera di Sicurezza. Con Leonida qualificati pure come nostro collaboratore, esperto di security in aree a rischio”.
L’email si conclude con la proposta economica di 1500 euro alla settimana e di un bonus di 3000, se la vendita andrà a buon fine.
Allettato anche dal compenso Cristian accetta. Si precipita a Milano e il 16 agosto parte per Nouakchott.
All’arrivo nella capitale mauritana tutto procede come promesso. Leonida Reitano viene a prenderlo all’aeroporto assieme a un gruppo di mauritani, all’apparenza funzionari del governo, e consegna loro il passaporto per le procedure di rito. Non rivedrà più il suo documento. Il tranello che lo bloccherà in Africa è scattato e il cappio organizzato da non si sa bene chi, si chiude attorno al bodyguard milanese.
Leonida Reitano è l’uomo che Cristian deve sostituire, secondo le consegne ricevute da Castro, alla riunione prevista pochi giorni dopo con i tecnici governativi per presentare i prodotti della Vigilar. La guardia milanese non sospetta che in realtà si tratta di una sorta di “scambio di ostaggi”. Infatti un paio di giorni dopo Reitano parte per l’Italia. Nel bagaglio non ha nessun vestito elegante, nessuna giacca, nessuna cravatta. Come avrebbe potuto partecipare in maglietta e pantaloncini corti a un meeting d’alto livello?
Infatti il meeting salta. Manish Kumar non si presenta in Mauritania e il 1° settembre Cristian viene arrestato.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
(1 – continua)
La seconda puntata di questa inchiesta si può leggere qui
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