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Libia: il premier Serraj ostaggio delle milizie, di Haftar e della Francia

Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
29 luglio 2016

In Libia il premier Faiez al Serraj è sempre più debole, la pace d’interesse di Tripoli può saltare da un momento all’altro: una pessima evoluzione per la comunità internazionale e per la popolazione che ha creduto nel governo di unità nazionale.

Nella capitale sono esplosi per la prima volta disordini non delle milizie, ma di cittadini comuni insofferenti per la penuria di elettricità, acqua, moneta corrente e medicinali: internet e gli altri servizi funzionano a intermittenza, è stata stampata nuova valuta ma nelle banche manca la liquidità, non si possono neanche più pagare gli stipendi e c’è l’inflazione.

La pacificazione interna fa pochi progressi e la paralisi economica non si è risolta con la collaborazione di diverse milizie all’esecutivo di Serraj (nella seconda foto con l’alto rappresentante Ue alla Politica estera Federica Mogherini). Anzi i gruppi armati ricattano il premier tecnico fatto insediare in primavera nella base navale blindata di Abu Sitta di Tripoli, con l’appoggio dell’Onu e dell’Ue, per quanto neanche potenze europee influenti in Africa come la Francia lo agevolino nel lavoro.

Le principali milizie (collegate al ministero della Difesa) avevano dichiarato alleanza a Serraj per farsi sbloccare gli stipendi. Adesso nello stallo aprono e chiudono i rubinetti delle centrali elettriche, lo ha amesso anche il premier, e in parte lo stesso accade con i pozzi del petrolio: dal 2011 la loro sicurezza e il loro funzionamento non dipendono dall’inesistente – eppure spesso citato – esercito regolare libico ma dalle decine di gruppi armati sparsi sul territorio.

Uno dei ras locali più problematici è da anni il secessionista Ibrahim Jadhran: a capo della Guardia delle strutture petrolifere libiche (Pfg) fa il bello e il brutto tempo nell’Est ricco di petrolio. I principali terminal della Cirenaica, controllati da Jadhran a Ras Lanuf, as Sider e Zuwaitina (nelle mire anche dell’Isis dalla roccaforte di Sirte), non sono mai tornati sotto la giurisdizione di Tripoli, per quanto formalmente anche le milizie Pfg abbiano stretto un patto con il governo di Serraj per riaprire l’export.

All’inizio Jadhran era considerato un islamista vicino a Misurata e aveva tentato di contrabbandare il petrolio dell’Est con la Turchia e altri intermediari illegali, entrando il conflitto con la Compagnia nazionale del petrolio libica (Noc) e con la Banca centrale. Ma ora che, con gli islamisti di Tripoli, le brigate di Misurata hanno accettato il piano di pace dell’Onu e sono state legittimate dalle autorità centrali e internazionali, Jadhran si sta allontanando da Serraj e sembra intenzionato a correre da solo, trattando con altri.

Le sue Pfg sono d’altra parte molto corteggiate, come i terminal della Cirenaica che presidiano. In questi mesi la campagna più aggressiva nell’Est della Libia la stanno combattendo i francesi, che già tanti danni hanno fatto nel 2011 mandando i caccia contro Gheddafi: adesso parteggiano per il generale Khalifa Haftar che ha in mano il parlamentino laico esiliato a Tobruk, vicino al confine con l’Egitto.

Haftar e i suoi uomini nell’Est rappresentano la principale opposizione alla grande coalizione di Alba libica, formata dalla super-brigata di Misurata e da diversi gruppi islamisti a Tripoli e in altre città: nel 2014 il blocco aveva preso il controllo della capitale foraggiato dai massicci finanziamenti di Turchia e Qatar, adesso fa l’ago della bilancia nel governo di unità nazionale di Serraj.

Grazie alla mediazione dei Comuni libici al tavolo dell’Onu, Misurata e Tripoli si sono allontanate dalla deriva del radicalismo islamico, combattendo con maggiore forza e anche molte perdite umane il Califfato dell’Isis a Sirte. Il loro appoggio a Serraj è decisivo, ma resta sul crinale: alle milizie spazientite per i pochi guadagni e per i molti caduti vengono dati soldi sottobanco dagli inglesi e dagli americani. Un compromesso per tenere insieme i cocci dell’esecutivo Serraj mentre si tenta, con grande difficoltà, di formare un esercito nazionale.

L’inviato delle Nazioni Unite in Libia Martin Kobler ha ribadito che “solo alle unità militari sotto il comando del Consiglio presidenziale di Serraj saranno date armi”. Dal 2016 Misurata ha accettato il training degli occidentali e ora ha unità proprie speciali antiterrorismo, ma la battaglia a Sirte contro l’Isis sta diventando una trincea: non ci sono ancora significativi risultati sul campo e sullo stallo pesa come un macigno il no del generale Haftar a unirsi all’esecutivo Serraj -e soprattutto a fare la guerra all’Isis insieme ad Alba libica.

Senza la firma dei suoi emissari di Tobruk, il governo di unità nazionale a Tripoli non può avere un vero Parlamento e già quattro ministri di punta (Giustizia, Riconciliazione, Finanze ed Economia) di Serraj si sono dimessi: segno che i litigi per la spartizione di poltrone e centri di potere tra le tribù non sono affatto sopiti.

Il generale Khalifa Haftar fotografato durante una conferenza stampa REUTERS/Esam Omran Al-Fetori

Il no ostinato di Haftar (nella foto sopra) all’Onu è dovuto alla sua guerra (in corso da tre anni senza risultati) a Bengasi e a Derna contro le milizie di radicali islamici di Ansar al Sharia e al Qaeda, da lui equiparati con Alba libica all’Isis. Dall’altra parte, il tentativo è invece di dialogare anche con queste fazioni, per fermare il flusso dei loro militanti più estremi nel Califfato e raggiungere così una pacificazione nazionale anche con gruppi jihadisti che, comunque sia, controllano ampie fette di territorio in Libia e non stanno con l’Isis.

La faglia più grossa che si è aperta dalla caduta di Muammar Gheddafi è tra Est e Ovest della Libia, Cirenaica e Tripolitania. Ma la frammentazione interna è molto più ampia e complessa da risolvere e, quel che è peggio, a decidere il futuro del Paese si sono immischiati troppi attori stranieri. La Turchia per esempio ha un ponte aereo diretto con Misurata e Tripoli, nella capitale sta ricostruendo l’aeroporto distrutto dagli scontri e, come in Somalia, ha in corso diversi cantieri per la ricostruzione.

L’Italia, la Gran Bretagna e gli Usa si tengono buone sia le milizie di Alba libica sia quelle di Haftar (in passato legato alla Cia) a Tobruk. I francesi, invece, ora spingono con forza Haftar insieme all’Egitto e agli Emirati arabi per aggiudicarsi i pozzi e i terminal nell’Est, muovendosi ormai in opposizione agli interessi dei turchi. Tre militari d’Oltralpe sono di recente morti nello schianto di un elicottero delle forze di Tobruk e le milizie vogliono l’espulsione dal Paese dei francesi.

Dare supporto militare a fazioni che rifiutano l’accordo dell’Onu non aiuta la pacificazione, anche Serraj ha protestato con Parigi per la “violazione della sovranità nazionale” e chiesto lo stop al traffico di armi illegali. L’Onu ha invitato tutte le potenze straniere a collaborare con il governo di unità nazionale, altrimenti l’anarchia in Libia non diminuisce, anzi si alimentano pure gli attentati in Europa.

Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli

Redazione Africa ExPress

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