Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
Milano, 26 luglio 2016
Nonostante il gruppo terrorista Al Shebab, filiale di Al Qaeda in Africa orientale, nelle ultime settimane abbia riportato notevoli sconfitte, continua a organizzare attacchi contro le truppe dell’Africa Union e i funzionari delle Nazioni Unite.
Stamattina altri due attentati suicidi hanno causato 13 morti, ma il bilancio potrebbe aggravarsi per il numero di feriti gravi ricoverati negli ospedali della capitale somala.
Il primo terrorista ha cercato di fare entrare il suo camioncino imbottito di esplosivo nel quartier generale delle truppe dell’AMISOM (African MIssion in SOMalia), ma non c’è riuscito. Fermato dai soldati di guardia è stato ammazzato prima. Ma il camion è saltato lo stesso davanti all’ingresso della base che comprende il porto e l’aeroporto.
Il secondo attacco – come riferisce lo stringer di Africa ExPress da Mogadiscio – è avvenuto davanti all’ingresso degli uffici dell’agenzia che si occupa dello sminamento, Mine Action, all’interno del compound altamente fortificato. Non è chiaro come l’aspirante suicida sia riuscito a evadere i controlli, ma in Somalia bastano poche centinaia di dollari per corrompere non solo i locali ma anche le guardie di AMISOM, ugandesi o burundesi, che spesso nel loro paese sono pagati l’equivalente di un centinaio di euro al mese.
La maggior parte delle vittime odierne dei due assalti quasi simultanei sono agenti della sicurezza della Nazioni Unite, che erano di guardia al checkpoint davanti al nuovo ingresso super fortificato dell’aeroporto internazionale Adan Adde che ospita, tra l’altro, le ambasciate di molti Paesi dell’Unione Europea e le residenze dei capi missione.
Dunque in Somalia i terroristi islamici, al di là di tutte le dichiarazioni trionfalistiche ufficiali, sono ancora presenti e si fanno pesantemente sentire. I giovani, che solo una decina di anni fa rifiutavano l’estremismo e garantivano che nessuno di loro si sarebbe mai immolato nel nome di Allah, ora si fanno facilmente reclutare per missioni suicide. Questa è la vera partita persa dall’Occidente. Qui, nell’ex colonia italiana, come in Francia, in Germania e/o in Belgio. Il fallimento della politica “utilizziamo i muscoli” è sotto gli occhi di tutti. E il rischio, il vero rischio è che il contagio dell’insensata follia omicida si propaghi anche in Italia. E allora anche da noi saranno veramente guai. Rimedi ce ne sono ma sono politici, non militari. Rimedi forti che rischiano di ripercuotersi sulla finanza internazionale e sui suoi burattinai.
Innanzi tutto occorre bloccare gli strumenti finanziari dai quali Al Qaeda e il califfato attingono le loro risorse. Vietare dunquetutte le transazioni finanziarie con i paradisi fiscali. Impedire le vendite di armamenti (e l’Italia ne commercia parecchi, e una certa parte finisce nelle mani dei terroristi) e mettere sotto stretto controllo il mercato del petrolio, ora spesso in mano al malaffare e, in alcuni Paesi, ai cervelli del terrore. Portare alla luce i traffici illeciti di materie prime. Una vera politica antiterrorismo e per controllare il flusso di migranti si fa così. Certamente non cannoneggiando i barconi o mettendo in carcere gli scafisti, l’ultimo anello di una catena i cui capi siedono nei salotti buoni dell’economia e della finanza internazionale.
Quando Falcone e Borsellino riferendosi alla mafia parlavano di interferenze ad alto livello probabilmente si riferivano proprio a questo. Non si deve pensare che i capi terroristi siano gente ingenua e naif senza una strategia precisa. Si tratta invece di persone che godono di coperture precise ad alto livello. Complicità che li appoggiano e li sostengono. In cambio di cosa? Della garanzia che il loro business non subisca danni e che continui a svilupparsi senza intoppi e senza ostacoli.
Un esempio per tutti. In Libia le compagnie petrolifere operano in zone – anche off shore – controllate da gruppi islamici. A chi pagano le royalties se non ai loro protettori, legati in qualche modo ai terroristi?
Massimo A. Alberizzi
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