Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1. giugno 2016
Da alcune settimane il governo sudanese sta dando la caccia agli habesha (parola tigrina con la quale si definiscono gli eritrei). Le forze dell’ordine arrestano chiunque abbia anche solo lontanamente le sembianze di un eritreo. Effettuano razzie nelle loro case, li bloccano per strada o sul posto di lavoro. La polizia straccia i permessi di soggiorno a coloro che ne sono in possesso e porta tutti quanti in galera con l’accusa di immigrazione clandestina. Si salva solamente chi ha con se cinquecento dollari per pagare “la multa” (cioè il “pizzo”) e sono in pochi a potersi premere la sanzione.
Il Sudan, in particolare la sua capitale Khartoum, è una tappa quasi obbligatoria per i profughi eritrei che vogliono raggiungere le coste libiche e affrontare il terribile viaggio attraverso quel famigerato tratto di mare del Mediterraneo, con la speranza di trovare la salvezza e la libertà.
Da settimane gli eritrei di Khartoum sono terrorizzati, non escono di casa, non riescono a procurasi il cibo. Quando la polizia li trova nelle loro abitazioni, li spoglia di tutto: del poco denaro, dei cellulari, dei pc. Una volta in prigione, non possono contattare nessuno, sono completamente isolati, nell’attesa della deportazione forzata.
Sono aumentate anche le sparatorie al confine tra Sudan e Eritrea. Il 12 maggio sono stati trovati tre cadaveri, una donna e due uomini, con ferite di arma da fuoco, certamente uccisi dalle guardie di confine.
Il 17 maggio oltre cento cittadini della nostra ex-colonia sono stati sorpresi dagli agenti eritrei a Tessenei, città al confine con il Sudan, mentre tentavano la fuga. Sono stati arrestati e buttati in galera.
Centinaia di eritrei sono stati fermati a Dongola (il sito archeologico sudanese), mentre cercavano di muoversi verso la Libia. Ormai le prigioni e i centri per rifugiati sono stracolmi di eritrei. Per gli arrestati è difficile entrare in contatto con gli operatori dell’Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) di Khartoum, mentre le autorità sudanesi non perdono tempo ad informare l’Ambasciata eritrea di Khartoum.
Tantissimi eritrei sono già stati deportati, anche i minorenni; vengono caricati su un camion di notte e trasportati al confine. Una volta giunti in Eritrea, non li attende un tappeto rosso, bensì la galera; spesso nemmeno i familiari possono chiedere notizie dei loro cari. Certo, lasciare l’Eritrea senza autorizzazione è un reato, un crimine, non si perdona un disertore. Nella nostra ex-colonia il servizio militare è obbligatorio praticamente per tutta la vita.
Omar Al Bashir, presidente del Sudan, salito al potere con un colpo di Stato militare ventisette anni fa, è ricercato dalla Corte Penale Internazionale, per crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio. Nel sue Paese la parola d’ordine è repressione verso chiunque osi opporsi.
Lo scorso anno ha nuovamente “vinto” le elezioni. Pochi giorni prima dell’apertura dei seggi elettorali erano stati arrestati e picchiati brutalmente decine e decine di oppositori, attivisti e studenti. In un comunicato congiunto USA, Gran Bretagna e Norvegia avevano scritto: “Il risultato di queste elezioni non può essere ritenuto come credibile espressione del popolo sudanese”. Poco prima del voto Federica Mogherini, commissario agli esteri dell’Unione Europea, aveva fatto sapere: “Il risultato non potrà essere credibile, perché non è legittimato dai cittadini sudanesi”.
Il presidente sudanese continua a spostarsi liberamente da un vertice internazionale all’altro, malgrado penda su di lui un mandato di arresto internazionale. http://www.africa-express.info/2016/03/18/alta-corte-sudafrica-contro-governo-illegale-e-vergognoso-non-arrestare-al-bashir-2/
Eppure Al Bashir è un interlocutore interessante per l’UE. E’ un Paese di transito per migliaia di migranti che cercano di raggiungere le nostre coste. Il Sudan è un a figura chiave nel “Processo di Khartoum”, lanciato proprio dal nostro governo nell’estate del 2014, nel corso della sua presidenza dell’UE, per difendere le frontiere europee di fronte al crescente numero di migranti.
Attualmente il governo di Al-Bashir ha già ricevuto quarantacinque milioni di dollari dalla Commissione europea dall’ “Emergency Trust Fund for Africa” per gestire meglio la migrazione. Grazie allo stesso fondo saranno finanziati equipaggiamenti comprese vetture) destinati alla polizia sudanese per poter controllare meglio i confini con l’Eritrea. E’ prevista anche la costruzione di due centri di accoglienza chiusi a Gadaref e Kassala con l’aiuto dell’Emergency Trust Fund for Africa. L’Eritrea, invece riceverà assistenza per l’attuazione di una regolamentazione del traffico di esseri umani .
Regimi corrotti, accusati entrambi di non rispettare i diritti umani. La stessa polizia sudanese è stata spesso rimproverata di trattenere, arrestare i profughi eritrei per estorcere del denaro. E il rapporto dell’ONU parla chiaro per quanto riguarda la nostra ex-colonia (http://www.africa-express.info/2015/06/12/amnesty-international-un-report-eritrea-urges-strong-action/).
La Commissione europea ha anche annunciato di voler mettere a disposizione un pacchetto di centododici milioni di dollari per combattere le cause dell’immigrazione irregolare e i trasferimenti forzati in Darfur, nel Sudan occidentale , sud Kordofan e Blue Nile, senza tenere conto che i miliari sudanesi sono spesso coinvolti nell’instabilità di queste Regioni.
Pur di frenare l’immigrazione, prodotta da governi corrotti, dove i diritti umani sono un optional o inesistenti, l’UE è disposta ad una stretta collaborazione con i dittatori.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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