Speciale per Africa ExPress
Mino Albrini
Kampala, 22 maggio 2016
Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha giurato per il suo quarto mandato consecutivo lo scorso 12 maggio, nel corso di una cerimonia tenutasi all’airstrip di Kololo a Kampala in presenza di una folta delegazione di capi di stato africani. La capitale, in questo caso, non ha risposto con una grande partecipazione popolare, a causa il dispiegamento di forze messo in campo dagli apparati di sicurezza: polizia ed esercito hanno presidiato i punti caldi della città già da alcuni giorni precedenti l’evento onde evitare disordini.
Il capo dell’opposizione Kizza Besigye ha fatto la spola tra gli arresti domiciliari e posti di polizia in città mentre il giorno antecedente alla cerimonia è stato prelevato e trasportato in elicottero in un posto remoto, Moroto, assai lontano da Kampala, per prevenire eventuali azioni dei militanti del suo partito, il Forum for Democratic Change.
Alcune delegazioni africane avevano presenze piuttosto imbarazzanti: il presidente sudanese Omar Al Bashir, destinatario di un mandato di arresto emettesso della Corte Penale Internazionale dell’Aja, è stato presentato come una vittima. La Corte è stata definita da Museveni come un ‘’bunch of useless people’’ (“mucchio di gente inutile”), affermazione che ha scatenato una reazione molto chiara da parte delle delegazioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti che si sono alzati dalla sedia e si sono allontanati dalla cerimonia in segno di protesta.
Tra i dittatori accusati di malversazioni e politiche repressive si sono notati il presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang, e il più che longevo leader del continente, il leader dello Zimbabwe, Robert Mugabe.
In definitiva una cerimonia che ha ricordato la deriva terzomondista di un paio di decenni addietro. Nessuno ha messo in dubbio la vittoria ottenuta con frode e broglio da Museveni. Il leader ugandese, soddisfatto per il risultato ottenuto, ha ringraziato la Russia e la Cina che sostengono la sua economia senza interferire negli affari interni del Paese, un segnale molto chiaro agli Stati Uniti e all’Europa che invece hanno fortemente criticato il governo ugandese per il modo in cui le elezioni si sono tenute, mettendo in forte dubbio la regolarità dei risultati.
La popolazione ugandese non è affatto contenta della situazione ma, memore delle violenze del passato, accetta questa situazione ed attende un miglioramento delle condizioni economiche e sociali del Paese, un aumento dell’occupazione e una diminuzione del costo della vita: infrastrutture energia e trasporti devono essere adeguati alle esigenze di una popolazione che inizia ad averne abbastanza di strade sempre in cattive condizioni e piene di auto, di corrente ed acqua che vanno e vengono e sempre più care.
Scandali e corruzione vengono quasi ogni giorno denunciati dalla stampa non di regime e di recente sono stati scoperti casi di corruzione legati alla costruzione della centrale idroelettrica di karuma (900 megawatt) costruita dai cinesi, ma che procede a rilento e con notevoli scostamenti qualitativi rispetto al contratto iniziale.
Il presidente Museveni, che comunque ha sempre garantito un grado di relativo benessere alla popolazione ugandese nel corso degli anni e che ha garantito per 32 anni una stabilità senza gli eccessi dittatoriali di altri suoi colleghi, è chiamato ad un ulteriore colpo di reni nel corso dei prossimi cinque anni di mandato, gli ultimi, come ha promesso di recente: “steady progress” (cioè ‘’progresso nella stabilita’’), il motto della sua campagna presidenziale, aspetta di essere confermato dai fatti.
Mino Albrini
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