Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 10 maggio 2016
Il governo keniota ha deciso di chiudere i due campi profughi, di Dadaab e Kakuma, che ospitano più di 600 mila rifugiati soprattutto somali e sud sudanesi. Una minaccia in tal senso era già stata espressa qualche mese fa, ma poi il pericolo di uno smantellamento delle strutture era rientrato. Ora sembra che le autorità di Nairobi facciano sul serio.
Qualche giorno fa, infatti, hanno inviato una lettera ai rappresentanti dei governi occidentali e al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, avvisandoli dell’intenzione di chiudere al più presto le due strutture. Dadaab da solo ospita almeno 400 mila persone ed è il rifugio di questo genere più grande del mondo.
Il governo keniota adduce motivazioni finanziarie e di terrorismo per rispedire a casa oltre mezzo milione di persone fuggite dalla guerra e dalla fame. “Non riusciamo più a sostenere lo schiacciante peso economico, ambientale e di sicurezza. Così l’ospitalità ai profughi deve finire”, c’è scritto nel documento che annuncia la chiusura dei campi. Tra i rifugiati – sostengono le autorità keniote – si annidano cellule di terroristi shebab, il gruppo fondamentalista somalo legato ad Al Qaeda. Probabilmente è vero, ma è difficile accettare che per colpa di una minoranza violenta e fuori dalle leggi morali e umane, paghino un prezzo enorme le comunità somale in fuga da un conflitto senza quartiere che insanguina l’ex colonia italiana da oltre 25 anni.
D’altro canto, si chiedono gli osservatori a Nairobi, l’Europa chiude le frontiere, respinge i migranti e i profughi e li abbandona alla loro sorte nei più cruenti scenari di guerra o di disastrosa carestia pericolosissima, perché mai ora il Kenya deve farsi carico del fardello costituito dalle migliaia di profughi in fuga? Non si può chiedere ai Paesi africani di sostenere tutto il peso di questo esodo biblico. Un ragionamento che fila soprattutto se si pensa che le guerre in corso, Somalia e Libia in Africa, Siria e Iraq in Asia, sono state causate da pesanti interferenze occidentali.
E anche dove ufficialmente guerre non ce ne sono, come in Guinea Equatoriale, in Congo-Kinshasa, in Congo-Brazzaville o in Angola, solo per citare qualche esempio, la cattiva o nulla distribuzione delle risorse, tollerata se non incentivata dalle multinazionali del petrolio e delle materie prime, provoca esodi di massa di popolazioni in cerca di cibo.
Per non parlare dei traffici d’armi, molto ma molto più lucrosi del traffico di uomini. E moralmente più esecrabili perché coinvolgono i governi. Nei Paesi africani la repressione delle dittature passa per le armi che sono vendute dagli occidentali. Anche dall’Italia ch non si sottrae a questo macabro commercio. La polizia egiziana per reprimere le dimostrazioni a favore della democrazia utilizza lacrimogeni, armi leggere e manganelli italiani. E nei suoi recenti viaggi in Africa il presidente del Consiglio Matteo Renzi, si è premurato di portarsi al seguito i rappresentati di Finmeccanica, rientrati a casa con lucrosi contratti per forniture belliche ai regimi più repressivi del continente.
Infine, come scriviamo da parecchio tempo, l’abolizione dei paradisi fiscali dovrebbe essere uno dei punti focali di una reale e ferma lotta al terrorismo. Invece anche le rivelazioni contenute nei Panama Papers, dopo avere avuto il privilegio di andare sulle prime pagine dei giornali, sono passate direttamente in archivio. Il che spinge a credere che i governanti nostrani siano coinvolti in questi passaggi di denaro ai confini dell’illegalità.
D’altro canto ci sono diverse cose che i governi occidentali impegnati a parole alla lotta al terrorismo non rivelano. Un piccolo esempio. In Libia i pozzi di petrolio e le piattaforme petrolifere sono controllate da varie fazioni islamiche in lotta tra loro e con il mondo occidentale. E’ un arcipelago intricato e completato cui fanno parte gruppi fedeli ai tagliagole del califfato e ad Al Qaeda. Per continuare a estrarre senza subire attacchi letali, le compagnie petrolifere pagano una sorta di tangente e talvolta addirittura le royalty. A chi vanno quei soldi se non ai radicali islamici e spesso ai gruppi terroristi?
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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