Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 27 aprile 2016
Riek Marchar, il leader ribelle, è tornato ieri a Juba, la capitale del Sud Sudan, e ha immediatamente prestato giuramento come vicepresidente nel nuovo “Governo di transizione per l’unità nazionale”, che dovrebbe, almeno si spera, riportare la pace dopo due anni di guerra civile.
Una conflitto interno atroce, scoppiato nel dicembre 2013 perché il presidente Salva Kiir Mayardit aveva accusato il sue vice, Riek Marchar, di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. Da allora sono iniziati i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri si sono verificati a fine 2013 nelle strade di Juba, ma ben presto hanno raggiunto anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non hanno fatto che alimentare questo conflitto: decine di migliaia di sud sudanesi hanno perso la vita in questi ventotto mesi e oltre 2,3 milioni hanno dovuto abbandonare le loro case. A tutt’oggi, 2,8 milioni necessitano di aiuti umanitari per poter sopravvivere. Insomma questo conflitto ha portato il Paese sull’orlo del baratro nel quasi totale silenzio del mondo e dei media.
Lo scorso agosto il presidente Kiir aveva firmato il trattato di pace con i ribelli, dopo essere stato minacciato di sanzioni dall’ONU.
In febbraio il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon si è recato in Sud Sudan per ricordare a Kiir l’urgenza dell’attuazione del trattato di pace, siglato lo scorso agosto e la formazione del governo di transizione di unità nazionale, insieme al reintegrato vice-presidente e leader dell’opposizione Riek Machar.
Finalmente, dopo svariati rinvii, Marchar è arrivato a Juba, la gente lo ha accolto con urla di gioia all’aeroporto. Ovviamente durante la cerimonia di giuramento l’aria era ben più tesa, anche se i due protagonisti , Kiir e Marchar, si sono chiamati fratelli, si sono visti ben pochi sorrisi.
Nei loro discorsi è emerso che entrambi sono concordi che bisogna formare il governo di transizione già nei prossimi giorni, perché solo allora i finanziatori staccheranno i primi assegni per risollevare almeno parzialmente lo stato catastrofico nel quale vigono le finanze del giovane Stato.
Kiir e Marchar dovranno mettere da parte i vecchi rancori e le reciproche diffidenze e lavorare a fianco a fianco se veramente vogliono cambiare le sorti del Paese. Insieme dovranno affrontare i gruppi ribelli che non hanno firmato il trattato di pace. Una sfida non da poco.
Il presidente è fiducioso e ha voluto sottolineare che il ritorno di Marchar a Juba mette un punto finale alla guerra.
Cornelia I. Toelgyes
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