Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 31 marzo 2016
Pochi giorni fa il tribunale provinciale di Luanda, la capitale dell’Angola, ha condannato fino a otto anni di carcere diciassette dissidenti non violenti, colpevoli di aver organizzato lo scorso giugno una lettura pubblica del libro dell’americano Gene Sharp, filosofo, politico e intellettuale statunitense, conosciuto per i suoi studi sulla nonviolenza e sulla disobbedienza civile: “Dalla dittatura alla democrazia. Come abbattere un regime”.
Il duro verdetto dei giudici dell’ex colonia portoghese, è stato emesso perché i 17 giovani sono stati ritenuti colpevoli di ribellione contro il governo del presidente/dittatore José Eduardo dos Santos. L’opposizione angolana ha commentato: “E’ un’ulteriore prova dell’esistenza di un consolidato atteggiamento di repressione”.
I giovani attivisti sono stati imprigionati lo scorso giugno, da allora hanno sempre respinto le accuse mosse contro di loro. Uno di loro, rapper Luaty Beirão, molto conosciuto in Angola. ha persino fatto uno sciopero della fame per oltre un mese per protestare contro la detenzione. Ritenuto uno dei maggiori responsabili del gruppo, è stato condannato a cinque anni e mezzo per “ribellione contro il presidente della Repubblica, associazione criminale e falsificazione di documenti”.
Un altro attivista, Domingos da Cruz, è stato identificato dal giudice come il “leader” del gruppo, si è beccato addirittura otto anni e mezzo di detenzione per aver pianificato un golpe e per associazione criminale.
Michel Francisco, legale di dieci degli attivisti, ha subito dichiarato di voler ricorrere in appello e ha commentato la sentenza con queste parole: “Non è stato un processo trasparente, perché il tutto è stato politicizzato e i giudici non hanno fatto altro che obbedire a forze superiori, cioè al presidente della Repubblica”.
Deprose Muchena, direttore di Amnesty International per l’Africa meridionale, ha duramente criticato la decisione dei giudici: “La draconiana e ingiustificabile condanna contro questi pacifici attivisti, che non sarebbero mai dovuto essere arrestati, dimostra come le autorità angolane usino il criminale sistema giudiziario per far tacere chi ha opinioni dissenzienti. Questi giovani sono vittime di un governo determinato a intimidire chiunque metta in discussione la sua politica repressiva”.
Josè Edoardo dos Santos nasce nel 1942 in un quartiere povero di Luanda. Si iscrive ancora giovanissimo al marxista MPLA (Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola) e nel 1956 il governo coloniale lo costringe all’esilio. Dapprima in Francia, poi in Congo e per ultimo si trasferisce in Russia, dove termina gli studi come ingegnere. Torna nel suo paese nel 1970 e, dopo l’indipendenza dal Portogallo, nel 1975 diventa ministro degli esteri. Nel 1979, dopo la morte di Agostinho Neto, viene scelto come presidente, carica che ricopre ancora oggi.
La gente gli aveva creduto. Era uno di loro, aveva sofferto insieme a loro durante il periodo coloniale, aveva combattuto per la libertà, parola praticamente sconosciuta nell’Angola di oggi.
Siamo ormai abituati alla sua politica repressiva
(http://www.africa-express.info/2015/03/14/alluvioni-e-morti-angola-mentre-il-regime-corrotto-e-cleptocrate-tappa-la-bocca-ai-dissidenti/), tipica di molti presidenti africani che da combattenti per la libertà di sono trasformati in feroci dittatori. Amano restare incollati alla poltrona; per loro il potere è diventato una vera e propria droga.
Solo qualche settimana fa Dos Santos aveva promesso che si sarebbe ritirato nel 2018, cioè al termine del suo attuale mandato, dopo 39 anni di potere. Troppi. Probabilmente – se lascerà davvero – chiamerà a succedergli qualche figlio o la prediletta figlia Isabelle, la donna più ricca di tutta l’Africa.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes