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Shell, ancora guai per inquinamento: altre due cause in Nigeria

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 15 marzo 2016

La sentenza del “Caso Bodo” ha fatto scuola. Nel novembre 2015 la Shell è stata condannata dall’Alta Corte di Londra al pagamento di £55 mln (70 milioni di euro) a 15.600 contadini e pescatori che non avevano più mezzi di sostentamento a causa dell’inquinamento causato da due sversamenti di petrolio nella loro area.

Clean it up (pulisci) Campagna di Amnesty International per invitare la Shell a pulire le aree inquinate del delta del Niger

Oggi la multinazionale anglo-olandese torna alla sbarra con altre due cause simili. Anche la comunità degli Ogale, in Ogoniland e il regno di Bille nel River State, a un centinaio di km a sud ovest di Port Harcourt, hanno deciso di portare a giudizio la Royal Dutch Shell per inquinamento, all’Alta Corte di Londra.

Mappa del delta del Niger e Ogoniland (Courtesy Unep)

La contaminazione da idrocarburi di quella vastissima area umida, grande quanto l’Irlanda, è una storia che dura da decenni e si sa che i disastri ambientali sono accompagnati da bugie. “La Shell, riguardo ai suoi resoconti sul delta del Niger ha un record spaventoso di offuscamento e disinformazione”, sono le pesanti parole di denuncia di Peter Frankental, direttore del programma Affari economici di Amnesty International UK.

Il gigante mondiale dell’estrazione petrolifera, nonostante gli enormi profitti, è accusato non solo di grave inquinamento ma soprattutto di continuare ad contaminare vaste aree del delta del Niger e di mentire sui dati dell’inquinamento dovuto a perdite di petrolio dalla pipeline.

Accusata di avere infratrutture obsolete per il trasporto del petrolio soggette a continue perdite la multinazionale si difende dicendo che gli sversamenti sono dovuti a continui furti di greggio dalle sue condutture. Affermazioni improbabili secondo Amnesty.

Vista l’impermeabilità di Shell davanti ai problemi dell’inquinamento causato, Amnesty ha deciso di preparare un briefing per gli investitori intitolato “Shell’s Growing Liabilities in the Niger Delta. Lessons from the Bodo court case” (Il crescente passivo della Shell nel delta del Niger. La lezione dal caso del Tribunale di Bodo).

Mappa del delta del Niger con la posizione della comunità di Bodo e del regno di Bille (Courtesy Google maps)

L’organizzazione per i diritti umani li mette in guardia sul possibile fallimento sistemico della società petrolifera ricordando che oltre ai 70 milioni di euro dovuti ai contadini e pescatori di Bodo – come riportato dai media olandesi – sono da aggiungere anche i costi della bonifica che vanno dai 150 ai 500 milioni di Usd in 10 anni. L’indagine mostra inoltre che i dati pubblicati dalla multinazionale sono massivamente sottostimati.

Shell ha ammesso che negli ultimi anni ci sono stati quasi 1.700 sversamenti di petrolio nel delta e che sono fuoriusciti circa 4.000 barili di greggio quando invece stime parlano di circa 500 mila barili. Secondo Amnesty, la fuoriuscita dell’agosto 2009 è stata di 100 mila barili mentre non ci sono dati sulla seconda perdita.

La stessa Shell ha confermato che dal 2007 sono stati riversati nell’ambiente oltre 55,8 milioni di litri di greggio (equivalenti a circa 350 mila barili) ma per Amnesty sono dati molto sottostimati. Secondo l’Unep (Agenzia Onu per l’ambiente), il costo valutato per la bonifica dell’Oganiland per i primi 5 anni sarebbe di 1 miliardo di Usd a fronte dei profitti aziendali del primo trimestre 2015 di 3,2 miliardi di Usd.

L’indagine parla di decadi di inquinamento che ha distrutto flora e fauna, ha contaminato le falde acquifere e rovinato la vita a centinaia di migliaia di persone, calpestando il loro diritto all’acqua potabile e al cibo e mettendo a serio rischio la loro salute.

Nel 2010 gli ispettori Unep erano stati nelle aree inquinate e avevano verificato la pesante contaminazione del territorio affermando che poco o niente sembrava fatto riguardo all’inquinamento.

Il documento di Amnesty e Cehrd sulla Shell

Nell’estate 2015, Amnesty International e la ong nigeriana Cehrd (Centro per lo sviluppo, l’ambiente e i diritti umani) hanno deciso di documentare le inadempienze della Shell e verificare se aveva risanato le devastazioni delle aree naturali inquinate.

Un lavoro durato tre mesi e a novembre 2015 è stato presentato il rapporto “Clean it up. Shell’s false claims about oil spill response in the Niger Delta” (Pulisci. False affermazioni di Shell sulla fuoriuscita di petrolio nel delta del Niger).

É risultato che nessuna bonifica è stata effettuata oppure che se eseguita non era inefficace. Inoltre, solo a seguito di un rapporto Unep, i siti inquinati erano stati risanati da contractors di Shell, ma si erano verificate ulteriori fuoriuscite di petrolio.

Nel frattempo, secondo la Shell le perdite di greggio dichiarate nel 2014 nel delta del Niger sono state 204, addirittura minori di quelle dell’ENI (349), che opera in un’area più piccola. Per avere un confronto, si legge nel sito di Amnesty UK, in Europa dal 1971 al 2011 c’è stata una media di 10 fuoriuscite all’anno.

Gli Ogale (13 mila persone) e il piccolo regno di Bille (40 mila abitanti), hanno preso l’esempio degli abitanti di Bodo e si sono affidati a Leigh Day&Co, lo stesso studio legale che ha fatto vincere la causa alla comunità Bodo.

La Shell aveva proposto un indennizzo totale di 5.200 euro. Dei 70 milioni di euro decisi dal giudice, 2.800 andranno ad ognuno degli abitanti che hanno vinto la causa e il restante andrà alla comunità per la costruzione di scuole, strutture sanitarie e altre attività da decidere, utili alla collettività.

Se altre comunità del delta del Niger che hanno subito il pesante inquinamento dei loro territori intentano una causa, per la Shell si mette veramente male.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

Redazione Africa ExPress

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