Speciale per Africa ExPress
Andrea Spinelli Barrile
Londra, 14 marzo 2016
Claudio e Massimiliano Chiarelli, cittadini italiani padre e figlio, sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco in Zimbabwe mentre partecipavano a un’operazione anti-bracconaggio con i ranger zimbabwani nella riserva di Mana Pools.
La Farnesina ha confermato il tragico episodio, le autorità italiane ad Harare affermano di essere in attesa di ricevere maggiori informazioni dalle autorità locali e l’Unità di crisi del Ministero degli Esteri italiano fa sapere anche che sono tuttora in corso, da parte delle autorità di polizia del paese africano, delle indagini per stabilire come siano andate realmente le cose.
I fatti sono tuttavia ricchi di punti oscuri decisamente preoccupanti: padre e figlio si trovavano in Zimbabwe da anni, Claudio Chiarelli – 50 anni – da decenni aveva una sua azienda ed accompagnava i turisti nei safari, era inoltre molto conosciuto dalle autorità del Paese africano come professionista serio e stimato. Entrambi i Chiarelli conoscevano alla perfezione la riserva di Mana Pools, nel nord dello Zimbabwe al confine con lo Zambia, tanto da essere stati autorizzati a supportare i rangers del parco nelle operazioni anti-bracconaggio.
Agosto 2002: intervista a Claudio Chiarelli: ”Hanno minacciato di strapparmi il cuore”
(di Massimo A. Alberizzi)
Secondo quanto dichiarato all’AFP da Emmanuel Fundira, a capo della Safari Operator Association of Zimbabwe (SOAZ) che si occupa di organizzare safari turistici, battute di caccia e campagne anti-bracconaggio nel Mana Pools e negli altri parchi del Paese, “Claudio e alcuni colleghi partecipavano a una spedizione con un’unità anti-bracconaggio del parco quando un ranger è comparso dal nulla e ha sparato contro di loro mentre erano in piedi al di fuori del loro veicolo. Siamo certi sia stato un caso di scambio di persona”. Il ranger “comparso dal nulla” si è poi dato alla fuga ed è tutt’ora ricercato.
Tali operazioni, come ha spiegato ad Africa ExPress Giacomo Albrieux – console ugandese in Italia che in Uganda organizza safari prettamente turistici – vengono fatte dietro segnalazioni perché è impossibile monitorare costantemente tutta l’area di un parco nazionale: “Avevo sentito parlare di loro, me ne avevano parlato durante una fiera del turismo […] Probabilmente i ranger conoscevano non solo i due ma anche le automobili che utilizzavano, ed è inoltre molto difficile che siano scesi dalle jeep. La vicenda ha contorni davvero oscuri”.
E’ importante infatti capire come funzioni una missione anti-bracconaggio: generalmente i ranger agiscono dietro una soffiata e capita si avvalgano di operatori turistici che agiscono sul posto e conoscono bene il territorio: il parco di Mana Pools è uno dei meno battuti dai turisti in Zimbabwe e la conoscenza sul campo dei due italiani deve essere stata probabilmente la ragione del loro coinvolgimento nell’operazione. Secondo fonti locali di Africa ExPress non sarebbe nemmeno stata la loro prima partecipazione ad una missione del genere.
Ancora non è chiara nemmeno l’ora in cui è avvenuta la sparatoria e il decesso dei due, le autorità dello Zimbabwe non sono ancora state in grado di fornire ancora dettagli di questo tipo, che sarebbero fondamentali: capire se il fatto è successo con la luce o con il buio cambierebbe non poco la ricostruzione degli eventi. “Stiamo parlando di Africa, tutto è possibile” spiega Albrieux ad Africa ExPress “generalmente queste operazioni i ranger le organizzano, armati, dopo aver ricevuto informazioni dettagliate”. Ciò che suona strano è che le vittime nello scontro a fuoco siano i due operatori stranieri presenti, entrambi con la pelle bianca e quindi decisamente riconoscibili, e che questi siano inoltre padre e figlio.
Senza andare a immaginare teorie complottiste, che allontanerebbero dalla verità, e attenendosi ai fatti restano comunque enormi zone d’ombra attorno alla vicenda e probabilmente sarà difficile venirne a capo: in Zimbabwe questo tipo di fatti di sangue tende ad essere insabbiato sulla falsariga di quanto avvenuto in Egitto con il ricercatore Giulio Regeni, e viene difficile immaginare una collaborazione a tutto tondo delle autorità del Paese africano, che in questo momento hanno anche altri problemi (economici e legati alla gravissima siccità). Ciò che conosciamo con certezza di Claudio Chiarelli è quanto dichiarato da egli stesso al direttore di Africa ExPress e pubblicato in un articolo sul Corriere della Sera del 18 agosto 2002: era l’epoca della rielezione di Robert Mugabe, che mandava le sue squadre di squatter a sequestrare le terre di oltre 2.900 proprietari terrieri bianchi: “I nostri campi e le nostre case sono occupati dai miliziani di Mugabe. Abbiamo cercato di continuare il nostro lavoro ma abbiamo dovuto ridurlo notevolmente. Io coltivo fiori e tabacco, prodotti da esportazione che contribuiscono ad arricchire la bilancia dei pagamenti. In questi giorni mi hanno impedito di irrigare. Tutto sta seccando” diceva Chiarelli al telefono con Alberizzi.
Claudio Chiarelli aveva acquistato regolarmente un enorme terreno in Zimbabwe, attratto dalle promesse del presidente-dittatore africano che dopo la rielezione scatenò sui bianchi la sua ira anti-colonialista. L’italiano fu tra i tanti che credettero all’ex veterano Mugabe e costituì una riserva ecologica e faunistica, dove si studiavano persino i rinoceronti neri, una specie in via di estinzione: “Due anni fa [nel 2000, ndr] sono arrivati gli squatters si sono insediati sul mio terreno e hanno distrutto tutto. La mia casa, i miei lodge. Hanno ammazzato centinaia, forse migliaia di animali, tra cui due rinoceronti e un elefante. Hanno divelto le recinzioni e appiccato incendi. Io e due colleghi, un tedesco e un francese, abbiamo dovuto andarcene” raccontò allora Chiarelli, che snocciolò qualche dettaglio di alcuni momenti di vero terrore: “Cercavo di difendere le proprietà, sono stato circondato da 200 uomini armati di pugnali, lance, machete. La quindicina di uomini che lavora per me ha cercato di farmi scudo. Loro li hanno picchiati selvaggiamente. Quindi si sono rivolti verso di me. Quando hanno ringhiato : ‘Ora ti stacchiamo il cuore e ce lo mangiamo’, ho pensato che fosse giunto il mio momento. Invece se ne sono andati”.
Alla luce di tutto ciò pensare che si sia trattato di un incidente è difficile ed è importante che le autorità italiane vigilino attentamente sul lavoro di quelle dello Zimbabwe per far emergere la verità. La memoria africana è lunga come quella degli elefanti e la ricostruzione fornita da Fundira non convince per due ragioni: primo perché è difficile pensare a due operatori esperti che decidono di scendere dal veicolo in quelle circostanze e secondo perché è altrettanto difficile pensare a un “ranger spuntato dal nulla” che fa fuoco su due persone conosciute per poi riuscire anche a darsela a gambe, il tutto nel bel mezzo di un parco nazionale. Ma, si sa, in Africa tutto è possibile.
“Strano è strano, anche perché in un parco generalmente ti muovi in macchina e i ranger conoscevano sicuramente la macchina dei due italiani… le macchine che circolano sono visibili e riconoscibili. Ed è difficile che uno in un parco scenda e si metta a passeggiare, sopratutto se magari è buio e sopratutto durante un’operazione di questo tipo” dice Albrieux. Secondo quanto ha riferito un funzionario dell’ambasciata italiana ad Harare al quotidiano La Stampa nelle prime ore di lunedì 14 marzo “non sembra che siano stati uccisi da bracconieri, ma per errore dalle stesse autorità del parco”.
Errore? Possibile, ma difficile da credere se si conoscono certe dinamiche. Lo Zimbabwe in questo momento non brilla certo per chiarezza e trasparenza.
[ultimo aggiornamento 14 marzo 2016, ore 19:36]
Andrea Spinelli Barrile
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