Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 febbraio 2016
Rapporti tesi tra la Francia e la Repubblica democratica del Congo (Congo-K) dopo la condanna a due anni di prigione di sei attivisti del movimento “Lutte pour le changement” (Lucha). Cinque uomini e una donna, Rebecca Kavugho, Serge Sivyavugha, Justin Kambale Mutsongo, Melka Kamundu, John Anipenda, e Ghislain Muhiwa sono stati accusati di incitazione alla rivolta a Goma, città situata nella parte orientale del Paese, al confine con il Ruanda.
Lucha è un movimento che comprende giovani indignati, nato nel 2012 proprio a Goma. I sei militanti sono stati arrestati il 16 febbraio, data che coincide con l’anniversario della “marcia dei credenti” di Kinshasa del 1992, una manifestazione pacifica, organizzata dai cattolici, per protestare contro la sospensione della “Conférence Nationale Souvraine” e finita in un bagno di sangue. Le forze di sicurezza del dittatore dell’epoca, Mobutu Sese Seko, avevano sparato contro i manifestanti non armati.
Una coalizione di oppositori e Lucha avrebbero voluto commemorare quest’anno l’evento con uno sciopero generale nazionale.
Nel suo comunicato del 25 febbraio il Ministero degli Affari Esteri francese ricorda al governo del Congo-K: “Chiediamo alle autorità congolesi di voler rispettare le libertà fondamentali conformi agli impegni internazionali sottoscritti dalla Repubblica Democratica del Congo. E in vista delle prossime elezioni, secondo la Costituzione, è essenziale che la società civile possa partecipare a un dibattito democratico sereno, senza intralciare il lavoro dei politici”.
Anche il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, è preoccupato per le restrizioni e della libertà di manifestare. Ban ha anche espresso le sue perplessità circa il ritardo nella preparazione del processo elettorale e ha invitato i leader africani di non aggrapparsi al potere, la poltrona non è per sempre.
L’attuale presidente del Paese, Joseph Kabila, è al potere dal 2001. La Costituzione prevede solo due mandati consecutivi di cinque anni ciascuno. Con l’avvicinarsi delle elezioni, previste per la fine dell’anno, Kabila sta intensificando la repressione.
Sarah Jackson, vice-direttore regionale di Amnesty International per l’Est Africa, il Corno d’Africa e la Regione dei Grandi Laghi, ha chiesto l’immediato e incondizionato rilascio dei cinque giovani e la ragazza.
Nel suo recente rapporto “ Treated like Criminals: DRC’s Rush to Silence Dissent”, Amnesty International documenta in che modo le autorità del Congo-K stanno usando il sistema giudiziario per reprimere ogni voce dissenziente. E l’arresto dei sei giovani ne è un esempio. Amnesty li considera come prigionieri di coscienza, imprigionati solamente perché hanno esercitato il loro diritto di esprimersi liberamente e di radunarsi in modo pacifico.
Dal canto loro, i vescovi del Congo-K hanno preferito annullare la marcia pacifica in memoria dei cristiani uccisi nel 1992, temendo strumentalizzazioni politiche. Da mesi l’episcopato congolese si sta adoperando per mediare il dialogo tra le diverse fazioni politiche sul calendario delle elezioni, che dovrebbero, tra le altre cose, porre fine al mandato di Kabila.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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