Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Roma,19 febbraio 2016
Ieri pomeriggio, presso il Tribunale di Bata in Guinea Equatoriale, è stata letta la sentenza di condanna a carico dei due cittadini italiani Fabio e Filippo Galassi di Roma, padre e figlio. I due erano stati arrestati lo scorso 21 marzo proprio a Bata, accusati in flagranza di aver tentato di esportare capitali all’estero e incarcerati: sono stati condannati rispettivamente a 33 e 21 anni di reclusione.
Lavoravano entrambi per un’impresa di costruzioni chiamata General Works, che ha due principali soci di riferimento: la friulana Anna Maria Moro e il Presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Nel 2008 l’allora proprietario dell’impresa, Igor Celotti (marito della signora Moro) morì in un incidente aereo nel Paese africano, un incidente piuttosto misterioso in seguito al quale il corpo di Celotti fu ritrovato carbonizzato mentre il pilota ne uscì illeso.
Al momento dell’arresto dei due Galassi la polizia aveva fatto sapere di averli colti in flagrante mentre caricavano in macchina alcuni trolley pieni di banconote, diretti verso l’aeroporto di Bata, ma alla successiva perquisizione nei bagagli non era stato trovato nulla, se non effetti personali dei due.
Dopo quasi un anno di detenzione, Fabio in carcere ininterrottamente dal 21 marzo mentre al figlio Filippo è stato riconosciuto un breve periodo di arresti domiciliari tra marzo e giugno 2015, i due sono stati colpiti da questa pena durissima. Entrambi si trovano attualmente detenuti nel carcere di Bata, cittadina continentale del piccolo paese centroafricano, dove ha trascorso due anni e mezzo un altro italiano, l’imprenditore Roberto Berardi, scarcerato nel luglio scorso dopo un periodo infernale di detenzione fatto di sevizie, fame, malattie e orrori di ogni sorta.
Le condizioni detentive dei due, grazie al clamoroso caso di Roberto Berardi che ha alzato molto l’attenzione su quella galera, sono fortunatamente meno dure di quelle del loro predecessore. Formalmente accusati di appropriazione indebita, truffa, riciclaggio e falsificazione di documenti, reati per i quali il pubblico ministero aveva la condanna a 15 anni per Fabio e 10 anni di reclusione per Filippo, sono stati riconosciuti colpevoli di aver “rovinato” l’impresa General Work, dove lavoravano entrambi in amministrazione (Fabio Galassi con un ruolo da direttore generale).
La pena riconosciuta ai due è assolutamente sproporzionata se commisurata al sistema penale della Guinea Equatoriale, dove 30 anni di carcere non vengono in genere dati nemmeno agli assassini. Lo scorso 26 gennaio 2016 il sottosegretario agli Affari Esteri Benedetto Della Vedova, rispondendo a un’interrogazione parlamentare presentata dal deputato PD Michele Anzaldi in cui si esprimevano forti preoccupazioni per le durissime condizioni carcerarie e per la legittimità del diritto guineano, aveva assicurato il massimo impegno del governo “ai più alti livelli” con l’azione diplomatica dell’ambasciata italiana in Camerun (competente per territorialità) e della Farnesina sia sull’ambasciata guineana a Roma sia “in ambito UE al fine di assicurare che le pressioni e sensibilizzazioni del governo equatoguineano fossero attuate anche a livello europeo”.
Fonti riservate hanno rivelato ad Africa ExPress che la ragione di tale pena potrebbe, condizionale d’obbligo, risiedere nei recenti guai giudiziari di due dei principali esponenti della famiglia presidenziale: il figlio del Presidente Teodorin Nguema Obiang e sua madre, la first lady Constancia Mangue de Obiang, sono recentemente incappati nelle maglie della giustizia internazionale per esportazione di capitali e riciclaggio, lui a Curaçao (isola caraibica del Regno dei Paesi Bassi) e lei in Svizzera. Rientrati fortunosamente in Guinea Equatoriale due giorni fa, alcuni organi di stampa raccontano di una detenzione di Teodorin nelle prigioni caraibiche dietro mandato di cattura dell’Interpol, secondo le nostre fonti avrebbero riservato ai due cittadini italiani il ruolo di capro espiatorio per i loro guai giudiziari. Quel che è certo è che il rampollo di casa Obiang è rientrato in Guinea Equatoriale reggendosi grazie a un vistoso bastone, mai comparso nei due precedenti mesi di vacanza (pubblicati sulla sua pagina Instagram).
E’ chiaro che tali affermazioni vanno prese con la dovuta cautela, ma per chi conosce la realtà della Guinea Equatoriale non è un mistero che il sistema economico corrotto da una cleptocrazia pigliatutto ha rovinato moltissimi cittadini stranieri che si sono visti incarcerare ingiustamente, derubare e poi sbattere fuori dal Paese. Oltre alla drammatica storia di Berardi (cui Africa ExPress nei mesi scorsi ha dato ampio risalto) di recente c’è stato il caso di un imprenditore sudafricano, Daniel Janse Van Rensburg. Rientrato in ottobre in Sudafrica è intenzionato a chiedere giustizia e i danni a Teodorin Nguema Obiang e al governo della Guinea Equatoriale, responsabili a suo dire della sua illegale e orribile detenzione.
Andrea Spinelli Barrile
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