Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 20 gennaio 2016
I presidenti africani sono accomunati da un proposito: restare al potere in eterno. Non parliamo solo di Robert Mugabe, che governa in Zimbabwe con brogli e trucchi dall’indipendenza, e neppure della dinastia Bongo in Gabon o dell’inossidabile Isayas Afeworki che per restare inchiodato alla sua sedia non ha mai promulgato la Costituzione, ma anche di presidenti che appaiono “illuminati”, come il ruandese Paul Kagame, che, tra accuse di razzismo e brutalità, ha permesso al suo Paese di crescere.
Non proprio tutti sono così, arroganti, presuntuosi e fascistelli. Infatti, c’è da registrare una piacevole eccezione quella del capo dello stato del Senegal, Macky Sall, che ha deciso di cambiare la Costituzione ma non per allungare i termini del mandato e magari cancellare il limite dei due. No. Lui vuole ridurre i sette anni a cinque mantenendo il limite massimo di due elezioni. “Dobbiamo rafforzare la democrazia – si è giustificato Sall annunciando l’intenzione di cambiare la Costituzione – . Dunque 14 anni al potere sono troppi. Il limite massimo dev’essere 10, cioè due mandati di 5 anni”.
La riforma sarà naturalmente sottoposta a referendum, uno strumento utilizzato normalmente dalle élite africane per giustificare la permanenza più o meno eterna al potere. Se la modifica costituzionale sarà approvata, Sall ha detto che i cinque anni scatteranno immediatamente (cioè retroattivamente per lui, durante il suo mandato) e quindi si candiderà nel 2017 alle presidenziali per un secondo e ultimo incarico.
Un’altra norma costituzionale proposta dal presidente riguarda il limite d’età: oltre i 75 anni non si potrà più accedere alla massima carica dello Stato. In un continente fatto da un’élite immarcescibile una riforma simile riveste l’aspetto di na rivoluzione copernicana. La data del referendum non è stata ancora annunciata.
Sall ha 54 anni ed è stato eletto nel 2012. Allora ha sconfitto Abdoulaye Wade, che voleva restare al potere per un terzo mandato.
Ecco alcuni esempi di come si sono comportati altri leader africani.
In dicembre il Ruanda ha votato per allungare il mandato del presidente Paul Kagame che, a questo punto potrà rimanere al potere dini al 2034. Kagame è tutsi e la sua mossa non gioverà certamente alla riconciliazione nazionale dopo il genocidio del 1994 durante il quale gli hutu oltranzisti uccisero un milione di tutsi e hutu moderati.
In ottobre scorso altro voto: in Congo Brazzaville per mantenere al potere Denis Sassou Nguesso. Negli anni ’90 Sassou, che è al potere da 31 anni, era stato cacciato con libere elezioni da Pascal Lissouba. Aiutato dei francesi aveva scatenato una guerra civile. Lissouba si era avvicinato troppo agli americani, con cui aveva negoziato concessioni petrolifere.
In Uganda Yoweri Museveni potra restare al potere in eterno. Il limite dei mandati è stato cancellato nel 2005. L’opposizione è forte ma non vince
mai: intimidazioni, brogli, compravendita di voti.
In Burundi Pierre Nkurunziza con un pretesto ha cancellato il limite dei suoi mandati, si è candidato, ha vinto e ha scatenato la guerra civile.
In Congo Kinshasa, Joseph Kabila vuole restare al potere nonostante il suo secondo mandato scada quest’anno. Era sostenuto dagli occidentali che ora l’hanno abbandonato. C’è un rischio di guerra civile all’est del Paese. Kabila sta già pensando di rimandare le elezioni per avere il tempo di modificare la Costituzione. Dietro di lui interessi enormi di multinazionali cinesi e dell’ex Unione Sovietica.
Massimo A. Alberizzi
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