Morte di un rifugiato eritreo e la sua storia da migrante

Dal nostro inviato speciale
Cornelia I. Toelgyes
Cagliari, 12 gennaio 2016

Ieri mattina l’associazione “Corno d’Africa Sardegna” ha organizzato una breve cerimonia per salutare Tedros, il giovane eritreo, deceduto il 19 dicembre in un ospedale a Cagliari, mentre cercava di scappare, calandosi da una finestra. La commemorazione si è tenuta in uno squallido obitorio dell’ospedale, alla presenza di alcuni compagni di viaggio, il presidente dell’associazione, Genet W Keflay, alcuni membri e amici.

Cerimonia di addio a Tedros, giovane eritreo morto a Cagliari

Tedros era arrivato nel capoluogo sardo il 4 dicembre 2015, insieme ad altri 285 profughi sulla nave militare spagnola Canarias. Tra i suoi compagni di viaggio c’erano molti somali ed etiopi, alcuni siriani e marocchini e un giovane libico. Alcune delle persone presenti al porto, incaricati dell’accoglienza dei profughi, hanno riferito che la maggior parte di loro era molto debole e provato, perché a digiuno da giorni.

Era nato 23 anni fa a Ghinda, una cittadina dell’Eritrea, capoluogo del distretto omonimo, nella regione del Mar Rosso Settentrionale, situata tra Asmara e Massaua. Era il maggiore di cinque figli. Il papà, Teklemariam Gebrenigus, è portatore di handicap grave e anche la mamma, Ascalu Ghebregherghis, soffre di patologie importanti. Una mattina di due anni fa, Tedros ha messo quel che possedeva in una busta ed è partito: dapprima in Etiopia, poi in Sudan. I genitori hanno dovuto vendere gran parte dei loro poveri averi per finanziare il viaggio.

Tedros, migrante eritreo deceduto a Cagliari

Mentre stava attraversando il deserto del Sahara, per raggiungere la Libia, Tedros e il gruppo di giovani con il quale viaggiava, è stato catturato da miserabili trafficanti di uomini. Li hanno rinchiusi in un container e li hanno picchiati finché non sono arrivati i soldi per il riscatto. I genitori, disperati, si sono rivolti ad amici e parenti residenti all’estero per poter racimolare la somma richiesta.

Finalmente libero, ha raggiunto la costa libica lo scorso luglio. Lui e i suoi compagni sono stati catturati da una delle ben conosciute bande armate libiche. Per mesi sono rimasti rinchiusi e per ogni pezzo di pane il prezzo da pagare era altissimo: dieci frustate in cambio di una pagnotta ammuffita e un bicchier d’acqua.

Mentre lui soffriva in silenzio, i genitori hanno dovuto chiedere altro denaro in prestito a parenti, amici, conoscenti da tempo residenti in occidente. Infine sono arrivati, ma non tutti. I familiari si sono indebitati per oltre 5.500 dollari, per i due riscatti e la traversata.

Ma Tedros ha dovuto pazientare altri due mesi nella lugubre galera, sopportare le angherie dei carcerieri perché si era rifiutato di convertirsi all’Islam e perché i genitori non sono riusciti a trovare gli ultimi cento dollari per completare la cifra richiesta dai suoi aguzzini.

Tedros è arrivato in Sardegna sfinito, esausto, privo di forze. Il giorno dopo il suo arrivo è stato ricoverato nel reparto di malattie infettive per scabbia.
Era praticamente guarito, stava per essere dimesso, quando ha deciso di scappare. Nessuno sa perché. C’è chi durante la fuga viene inghiottito dalle onde del mare, altri vengono travolti dalla disperazione, dalla paura di non poter realizzare il proprio sogno: la libertà.

Ieri amici e conoscenti hanno salutato Tedros e accompagnato la salma fino all’aeroporto. Un aereo di linea lo riporterà in Eritrea. Sì, i morti possono usare i mezzi di trasporto regolari, ai morti si concedono i documenti di viaggio.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
Twitter: @cotoelgyes

Redazione Africa ExPress

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