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Violenza, omicidi e torture: così in Angola il regime spreme l’industria dei diamanti

Speciale per Africa ExPress
Davide Debernardi
Milano, 6 gennaio 2016

Può risultare pericoloso e difficile fare libera informazione in un paese come l’Angola posizionato al 123° posto su 180 considerati, nell’indice della libertà di stampa (World Press Freedom Index). Figuriamoci poi se l’obiettivo è la classe dirigente di un governo al potere da 37 anni. Ne sa qualcosa Rafael Marques de Morais, autore di “Diamanti di sangue. Corruzione e tortura nel Cuango” (edito in Italia da Edizioni Clandestine).

Il giornalista indipendente e attivista per i diritti umani, racconta nel suo libro quanto ha scoperto in due anni di dettagliate indagini sulla drammatica situazione dell’industria diamantifera angolana.

I comuni di Cuango e Xà-Muteba, nella provincia di Lunda Nord, sono la più importante area di estrazione di diamanti dell’Angola. Lì, su concessione governativa, operano diverse compagnie. Indagando in loco dove è stato più volte, Marques documenta attraverso precise testimonianze, la presenza di un vero e proprio regime di oppressione, violenza e sfruttamento, con omicidi e torture.

Rafael Marques

Il territorio ricco di diamanti è una zona franca, dove è impossibile sviluppare qualunque attività. Le terre vengono espropriate e l’unico sostentamento per la popolazione locale è dedicarsi all’attività estrattiva irregolare, cioè il garimpo.

La sopravvivenza quindi è legata al garimpo ed eventuali appropriazioni illegittime sono controllate da società private di sicurezza. Sono di fatto organizzazioni para-militari – conniventi con le imprese diamantifere, le autorità locali e il governo angolano – che si rendono protagoniste di abusi di potere e reati di sangue nei confronti di chi estrae illegalmente le pietre preziose. Con nomi, date, luoghi, Marques elenca 108 casi di percosse, abusi, lesioni e omicidi, portando alla luce un’angosciante realtà.

La vicenda giudiziaria del giornalista investigativo comincia quando in seguito alla pubblicazione del libro in Portogallo (nel 2011), viene accusato di diffamazione da parte di sette generali delle Forze Armate, citati con nome e cognome come comproprietari delle società private di sicurezza e quindi complici delle violazioni dei diritti umani. Dopo una prima denuncia sporta alla magistratura portoghese e rivelatasi inefficace, gli ufficiali si rivolgono al tribunale di Luanda e nel 2014 Marques si trova sotto processo con il rischio di una condanna a nove anni di reclusione e 1,2 milioni di dollari di ammenda.

Durante il processo davanti al tribunale, senza la presenza di stampa e pubblico, non mancano i colpi di scena. La procura, oltre alla diffamazione, vuole aggravare la posizione del giornalista e aggiunge altri 15 capi d’accusa, tra cui quello di aver provocato un danno alla reputazione internazionale del suo Paese.

Alla fine la storia di Rafael Marques sembra concludersi positivamente. Infatti, l’imputato raggiunge un accordo stragiudiziale con i generali che lo hanno querelato. Riconosce che gli ufficiali non erano a conoscenza degli avvenimenti da lui descritti nel libro e loro ritirano le accuse. Ma non finisce qui. Nonostante il processo non abbia avuto seguito grazie all’intesa tra le parti, il giudice condanna Marques a sei mesi di reclusione per calunnia. Sostiene che non è riuscito a portare sufficienti prove dei fatti descritti. In più gli ordina di ritirare il libro dal mercato, non ripubblicarlo e non tradurlo (attualmente e disponibile solo dall’editore originario portoghese Tinta da China).

Marques non viene incarcerato, la sanzione è sospesa per due anni, ma rappresenta un chiaro avvertimento: mettere fine alle inchieste dei giornalisti. Nei prossimi due anni il giudice potrebbe richiamarlo a scontare la pena anche per comportamenti non necessariamente legati alla vicenda.

Rafael Marques de Morais 44 anni non è solo un giornalista, ma attivista e difensore dei diritti umani. Le sue inchieste sull’estrazione diamantifera e sulla corruzione governativa lo hanno portato più volte dinanzi al tribunale e dal sito makaangola.org da lui diretto e finanziato si impegna nella difesa della democrazia in Angola. Dopo aver frequentato antropologia a Londra e un master in studi africani a Oxford si è dedicato con passione e dedizione al giornalismo di indagine diventando nel tempo simbolo di libertà di espressione e di parola.

Davide Debernardi
davidedebernardi@yahoo.it

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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