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I traumi psicologici del bracconaggio sui cuccioli di elefante orfani

Dal Nostro Inviato Speciale
Sandro Pintus
Nairobi, 18 dicembre 2015

 

Una quindicina di elefantini orfani del David Sheldrick Wildlife Trust di Nairobi (foto © Sandro Pintus)


Oltre alle ferite sul corpo, sono pesantissime e durature quelle psicologiche dovute al bracconaggio. Lo conferma Daphne Sheldrick che, per il suo importante lavoro sul campo con gli elefanti e altri animali selvatici, nel 1989 ha avuto dalla regina Elisabetta il titolo di Member of the Order of the British Empire.

Allattamento di un cucciolo di elefante orfano al David Sheldrick Wildlife Trust di Nairobi (foto © Sandro Pintus)

“Gli elefanti sono animali molto umani” ha raccontato al National Geographic in un ampio servizio di Charles Siebert sul numero di settembre 2011, “Le loro emozioni sono esattamente uguali alle nostre. Se perdono le loro famiglie e hanno visto le loro madri macellate, quando arrivano da noi sono pieni di aggressività, distrutti, affranti e in lutto. A causa di tutto ciò che hanno passato hanno incubi e soffrono di insonnia”.

Purtroppo non tutti gli orfani che arrivano all’orfanotrofio di Nairobi ce la fanno a sopravvivere. Losoito, un maschio di pochi mesi, è stato testimone della terribile strage a fucilate di tutta la sua famiglia per mano dei bracconieri che hanno loro strappato le zanne. Alla fine di luglio, quando lo hanno trovato è stato portato subito al Centro di riabilitazione.

Il cucciolo, nonostante la terribile esperienza con gli esseri umani, era amichevole e indifeso e succhiava le dita di coloro che lo curavano. Gli sforzi dei custodi purtroppo non sono bastati. Il piccolo non ha superato il profondo trauma per lo sterminio della sua famiglia ed è morto tre giorni dopo il suo arrivo.

Una classe di scuola primaria assiste all’allattamento di uno degli elefantini orfani del David Sheldrick Wildlife Trust di Nairobi (foto © Sandro Pintus)

Il David Sheldrick Wildlife Trust ha anche un programma di adozione, oltre al salvataggio, la cura e il reinserimento degli orfani di elefante nel loro habitat. “Ngilai e Godoma sono i due cuccioli più giovani del nostro programma. Fino ad oggi abbiamo salvato e riabilitato oltre 200 elefanti orfani. Di quelli ora in libertà la più vecchia è Emily che ha 22 anni – racconta Angela Sheldrick, figlia di David e Dafne che oggi gestisce il DSWT – Siamo immensamente orgogliosi delle testimonianze arrivate: molte delle nostre femmine hanno avuto cuccioli nel loro habitat naturale, siamo a conoscenza di 17 piccoli. Emma è nata da Emily, Eden è figlio di Edie, Wendi ha avuto Wiva e, nel dicembre 2014, Sweet Sally ha dato alla luce Safi”.

Malgrado le atroci vicende vissute dai cuccioli la loro vivacità e simpatia è visibile dai visitatori dell’orfanotrofio quando, chiamati per nome, arrivano trotterellando allegramente per la poppata con lo speciale latte. Il nutrimento per i piccoli di elefante è il risultato di una particolare formula creata da David e Daphne durante i lunghi anni spesi lavorando alla cura e riabilitazione degli animali nel Tsavo National Park, a sud del Kenya. Si tratta di una ricetta che rende il latte simile a quello che i cuccioli poppano dalle madri.

Prendono il latte da un biberon tenuto dai custodi e alcuni riescono mangiare reggendolo da soli con la proboscide. Ne bevono con avidità tra 15 e 27 litri e dopo, come tutti i cuccioli, giocano. Tutto accade tra lo stupore e la curiosità dei bambini – e degli adulti – presenti alla “performance” nel vederli mangiare e giocare tra loro nella pozza d’acqua.

Forse la parte più toccante è quando si avvicinano al pubblico con lo stesso entusiasmo con cui giocano. Viene spontaneo toccarli, accarezzarli per capire come sono fatti. Il contatto fisico con questi cuccioli dell’essere terrestre più grande del pianeta è emozionante. Decine di mani che attraverso il tatto li studiano e pare che questo contatto fisico faccia loro piacere e che sembrano cercare.

Il pubblico e gli elefantini orfani del David Sheldrick Wildlife Trust di Nairobi (foto © Sandro Pintus)

Ma a ricordare cosa è un elefante ci pensa uno dei cuccioli più grandi – 1 metro al garrese del peso di un centinaio di kg. che – probabilmente per gioco – emette un potente barrito e accenna una carica verso il pubblico. Un suono energico che interrompe l’atmosfera creando un istintivo fuggi-fuggi del pubblico. Non succede niente e non è pericoloso, torna tutto come prima. Fa però capire ai presenti che hanno a che fare con un cucciolo che diventerà un pachiderma di quasi 4 metri che può pesare 5 tonnellate.

(2 – Continua – L’avorio distrutto e quei cento mila elefanti uccisi in due anni)

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

Sandro Pintus

Giornalista dal 1979, ha iniziato l'attività con Paese Sera. Negli anni '80/'90 in Africa Australe con base in Mozambico e in seguito in Australia e in missioni in Medio Oriente e Balcani. Ha lavorato per varie ong, collaborato con La Repubblica, La Nazione, L'Universo, L'Unione Sarda e altre testate, agenzie e vari uffici stampa. Ha collaborato anche con UNHCR, FAO, WFP e OMS-Hedip.

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