Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 15 dicembre 2015
In fuga dai loro Paesi d’origine,scappati da persecuzioni e conflitti interni, centouno persone del Corno d’Africa si trovano dal 2 settembre nel campo per profughi Makpandu, Western Equatoria State, nel Sud Sudan.
Sono settanta eritrei, due somali e ventinove etiopi di etnia oromo. Tra loro donne, alcune in avanzato stato di gravidanza, e bambini. Sono stati portati qui da un centro per la protezione dei civili di Juba, la capitale del Sud Sudan, per una ricollocazione a lungo termine.
Il Western Equatoria State confina con la Repubblica centrafricana e la Repubblica democratica del Congo. Molti ospiti del campo provengono da questi due Paesi, anche loro sono scappati da conflitti interni, alla ricerca di protezione.
Da alcune settimane si susseguono scontri tra forze governative e ribelli vicino a Yambio, a pochi chilometri dal campo dell’UNHCR Makpandu. Migliaia di civili hanno lasciato le loro case; si sono rifugiati nelle vicine campagne o nel complesso dell’ Adventist Relief Agency (ADRA), vicino alla base dell’ United Nations Mission in South Sudan (UNMISS).
I caschi blu di UNMISS hanno dato protezione a migliaia di sfollati in questi ultimi giorni. A Masia, in una zona a nord-ovest della città di Yambio, sono stati uccisi due poliziotti, un terzo è stato ferito durante un combattimento tra agenti di sicurezza e bande armate.
Il Sud Sudan è il più giovane Stato del pianeta. Infatti ha raggiunto l’indipendenza dal Sudan il 9 luglio 2011. Dal 15 dicembre 2013 si combatte una brutale guerra civile, causata da lotte di potere tra il presidente sud sudanese Salva Kiir – a capo del Paese dall’indipendenza – e l’ex vicepresidente Riek Machar. Il primo appartiene al maggiore gruppo etnico , i dinka, mentre Machar è un nuer. Entrambi vorrebbero il controllo dei ricchi giacimenti petroliferi, ma la loro sete di potere ha ridotto la popolazione alla fame. Secondo alcuni analisti è uno dei conflitti interni più crudeli ed ingestibili del Continente africano.
I rifugiati stranieri, che si trovano in questo sfortunato Paese, sono caduti dalla padella alla brace. Un eritreo del campo per profughi Makpandu è riuscito a contattare l’Agenzia Habeshia, della quale don Moussie Zerai è il presidente. A nome di tutti i cento profughi del Corno d’Africa ha chiesto aiuto. “Siamo terrorizzati, spaventati: sentiamo gli spari, i combattimenti. Abbiamo paura. Non possiamo fuggire come gli altri – i centrafricani e congolesi – non sappiamo dove andare, non riusciamo ad orientarci, non conosciamo la zona e poi, con noi ci sono donne e bambini, non sarebbero in grado di affrontare una lunga fuga a piedi”, ha riferito telefonicamente al suo interlocutore dell’agenzia Habeshia.
E don Zerai, l’instancabile angelo dei rifugiati, lancia un appello alla comunità internazionale, in particolare all’Alto commissariato per i rifugiati (UNHCR): “ Urge un canale umanitario per portare in salvo queste persone, per poi trasferirli in uno Stato sicuro, che sappia dare loro asilo e protezione. Tutto il Sud Sudan è un inferno, ma la situazione del campo è tragica. Non possono restare qui”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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