Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 13 dicembre 2015
Oggi si è votato nella Repubblica centrafricana. Oltre due milioni di elettori si sono recarti alle urne per un referendum costituzionale. C’è molta tensione a Bangui: almeno due persone sono state uccise, i feriti sono una ventina, alcuni in grave condizioni.
Esplosioni di bombe a mano e spari di mitragliatrici sono stati il buongiorno nel quartiere musulmano PK5 della capitale, nei pressi della scuola Baya Dombia.
I seggi elettorali avrebbero dovuto essere aperti ovunque alle 6 del mattino. Alle 8.30 molti erano ancora in fase di allestimento. Nel PK5 giovani armati hanno impedito all’agenzia nazionale elettorale e all’ONU di installare le urne. Gli abitanti del quartiere sono profondamente delusi per non aver potuto partecipare a questa prima tornata elettorale. La seconda è prevista per il 27 dicembre. Allora si voterà per le presidenziali e le legislative.
Molti musulmani si sono diretti verso il quartier generale della “Mission multidimensionelle intégrée de stabilisation dans la République centrafricaine” (MINUSCA) per far valere i propri diritti. “Voglio votare. Se devo morire per votare, non fa nulla, non è grave, ma andrò fino in fondo”, ha commentato un abitante del quartiere PK5.
Il referendum prevede una modifica del testo della Costituzione: l’instaurazione della VI Repubblica, la riduzione dei mandati presidenziali e la lotta contro la corruzione.
Anche tra martedì e mercoledì notte si sono verificati degli scontri a Bangui, dopo l’annuncio dei quattordici candidati esclusi dalle presidenziali. François Bozizé, ex-presidente del CAR per dieci anni, è uno di loro. L’ex-presidente punta il dito sulla Corte Costituzionale: lo avrebbe escluso per le pressioni ricevute dall’estero. E urla allo scandalo.
Bozizé è accusato dal comitato per le sanzioni dell’ONU di appoggiare e fomentare atti e azioni contro la pace nel CAR. Si suppone che sia vicino ai gruppi armati anti-balaka (prevalentemente composti da cristiani). Attualmente i suoi beni sono congelati e l’ONU gli ha vietato di recarsi all’estero.
Come nasce il conflitto nella Repubblica centrafricana?
Nel 2011 viene rieletto presidente François Bozizé. Ma ben presto la sua autorità vacilla. Non è mai stato in grado di controllare il nord del Paese. Verso la fine 2012 viene formato il gruppo Séleka (“Alleanza”, in sango, lingua ufficiale insieme al francese), che raggruppa diversi unità armate ribelli, per lo più composto da musulmani.
Malgrado un accordo di pace firmato a gennaio 2013, i Séleka occupano Bangui e, nel marzo successivo, costringono il presidente a rifugiarsi in Camerun. Si autoproclama capo dello Stato Michel Djotodia, per un periodo di transizione di tre anni. Ben presto anche Djotodia si rivela incapace di governare e di tenere sotto controllo i Séleka, un gruppo eterogeneo, sostenuto anche da mercenari stranieri provenienti prevalentemente dal Ciad e dal Niger. Accanto alle bande armate trovano posto criminali normali. Incendi di interi villaggi, massacri, stupri nei confronti di cristiani sono all’ordine del giorno.
Il 10 gennaio 2014 anche Djotodia lascia la presidenza. Al suo posto Il CNT (Consiglio nazionale di transizione) nomina l’ex-sindaco di Bangui, una donna, la signora Catherine Samba-Panza, per traghettare il Paese verso le prossime libere elezioni, quelle previste a fine mese.
Questo conflitto ha generato una profonda spaccatura tra musulmani e cristiani (che rappresentano quasi l’80 percento della popolazione) e si è trasformato in una guerra di religione, cosa mai avvenuta prima, in quanto i due gruppi hanno sempre vissuto in perfetta armonia gli uni accanto agli altri. E infatti, durante l’autunno 2013 anche i cristiani si organizzano e formano il gruppo anti-balaka, che in lingua sango significa anti-machete; si autodefiniscono “combattenti per la liberazione del popolo centrafricano”
Secondo l’Agenzia dell’Onu per l’infanzia (UNICEF), dall’inizio delle insurrezioni ad oggi sono stati arruolati tra 6.000 a 10.000 bambini soldato: giovani ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni che combattono a fianco dei Séleka e anti-balaka, impugnando mitra e machete: defraudati dell’infanzia e dell’adolescenza. Un gruppo di trecento giovanissimi è stato liberato nel mese di maggio. I capi di una decina di formazioni armate hanno promesso di liberarne altri e di rinunciare a nuovi arruolamenti di minori in futuro.
L’ex-colonia francese conta poco più di 4,7 milioni di abitanti. Quasi un quarto della popolazione ha dovuto lasciare le proprie case per le incessanti violenze. Circa la metà di loro si trova ora in campi per sfollati, gli altri si sono rifugiati nei Paesi vicini, soprattutto in Niger e Ciad. Oltre cinquemila le persone ammazzate o morte di stenti, di fame. Sì, la fame è un’arma potente in guerra. In alcuni luoghi è vietato vendere cibo ai musulmani. Il conflitto ha anche ridotto una parte della popolazione alla povertà estrema.
Tutti, compresa la comunità internazionale, hanno posto molte speranze in queste elezioni, ultima spiaggia per porre fine all’odio, a questa maledetta guerra “di religione”. Tutti attendono la pace e la riconciliazione, per ricominciare a vivere.
Durante la visita di Bergoglio nel Paese che ha dato i natali a Jean-Bedel Bokassa, i media occidentali hanno dato un po’ di spazio alle violenze che affliggono la Repubblica Centrafricana. Ora i riflettori si sono nuovamente spenti. Chissà se nelle condizioni attuali si possa andare al voto il prossimo 27 dicembre.
Cornelia I. Toelgyes
cornneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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