Speciale per Africa Express
Cornelia I. Toelgyes
Quartu sant’Elena, 30 novembre 2015
Secondo informazioni di OSINT (cioè Open Source INTelligence) un numero consistente di militanti Boko Haram (si stima 2000 uomini), insieme alle loro famiglie si è trasferito in Libia, a Sirte, città portuale, situata nell’omonimo golfo, da dove fino a poche settimane fa partivano i barconi della speranza. Con loro sono arrivati altri gruppi fedeli al califfato, otto in tutto, provenienti tra l’altro dall’Egitto e dall’ Afghanistan. Da quando le pressioni militari e economiche in Iraq e in Siria si sono fatte più pesanti, i leader dell’ISIS hanno dovuto guardarsi attorno per trovare un nuovo territorio, e, approfittando del caos libico, assieme ai Boko Haram, stanno costruendo una base proprio alle porte dell’Europa.
Per altro nel febbraio di quest’anno il capo della setta nigeriana, Abubakar Shekau, ha giurato fedeltà ad Abu-Bakr al-Baghdadi, il leader dello Stato Islamico.
ISIS sta controllando ora già centocinquanta miglia di costa del Mediterraneo vicino a Sirte, dalla città di Abugrein, nell ovest, fino a Nawfaliya, nell’est e anche le milizie di Misrata, che un tempo erano pronte a combattere i terroristi, si sono ritirate.
Degli oltre duemila combattenti del califfato in Libia, alcune centinaia si sono stabiliti a Sirte, altri in gruppi più o meno grandi, si trovano nell’est, in direzione di Nawfaiya.
Si teme che il loro prossimo obiettivo sia la conquista della città Ajdabiya, che potrebbe dare all’ISIS il controllo di arterie stradali importanti, nonché dei terminali e dei campi petroliferi che si trovano a sud della città.
A Sirte il gruppo ha già imposto la legge islamica: il velo per le donne è obbligatorio, musica e sigarette sono vietate; chiusura obbligatoria dei negozi durante le ore di preghiera. Sembra che in agosto abbiano crocefisso quattro persone. Il mese scorso due uomini sono stati decapitati pubblicamente, perché accusati di stregoneria.
La Libia sta dunque diventando la nuova colonia dell’ISIS. Da settimane non ci sono stati sbarchi importanti sulle nostre coste. Certamente le cause non sono solamente il mare mosso o l’imminente inverno.
I leader della setta islamica jihadista, Boko Haram, affiliata al Califfato da febbraio 2015, continuano a spargere terrore in Nigeria e in Camerun. E gli attentati si susseguono come una catena di montaggio.
Durante quest’ultimo fine settimana a Dabanga, nel nord del Camerun, al confine con la Nigeria, due ragazzine kamikaze si sono state fatte esplodere. Fonti ufficiali affermano che le giovani fossero nigeriane, rifugiatesi in un campo profughi. Poco tempo fa il Camerun ha espulso migliaia di rifugiati nigeriani che avevano cercato protezione nel Paese confinante, per sfuggire ai continui attacchi dei sanguinari settari. Almeno cinque i morti, parecchi i feriti.
Il giorno precedente è stata presa di mira l’annuale processione Arbaeen, organizzata dalla comunità sciita di Kano, nel nord della Nigeria. Un kamikaze, infiltratosi in mezzo ai pellegrini, si è fatto saltare per aria, ferendo una quarantina di persone. Secondo il commissario di polizia Muhammadu Katsina, non ci sono stati morti, ma ha precisato che un secondo militante dei Boko Haram è stato arrestato pochi istanti prima che potesse premere il detonatore della sua cintura, carica di plastico, evitando così una strage. Poco dopo l’attentato è stato rivendicato dai terroristi locali.
Domenica altri due attacchi: il primo nel Niger. Alcuni testimoni oculari hanno affermato: “I militanti, armati di kalashnikov, hanno attraversato il fiume Komadougou Yobe – confine naturale tra il Niger e la Nigeria – hanno bruciato cinquanta abitazioni e ucciso quattro persone”. Fougou Boukar, un ufficiale nigerino, ha aggiunto: “Hanno creato un danno immenso alla nostra comunità”.
Il secondo, è avvenuto dall’altra parte del confine, in Nigeria, nel Borno State, nel nord-est della ex-colonia britannica. Alle 3.30 del mattino la furia dei sanguinari killer si è scatenata sugli abitanti del villaggio di Bam. Prima hanno ammazzato sette abitanti, poi hanno rapito tutte le ragazzine che sono riusciti a sequestrare.
Testimoni hanno riferito: “Durante il loro raid, durato oltre due ore, cantavano in arabo. Hanno avuto la pazienza e il tempo necessario per suddividere le donne sposate dalle vergini. Se ne sono andati con le nostre ragazze, lasciando il villaggio in fiamme”. Ali, nome inventato del testimone, ha aggiunto: “Abbiamo avvertito i militari, qualcuno aveva visto dei militanti di Boko Haram aggirarsi nei dintorni, in villaggi vicini. Nessuno è venuto a proteggerci.”
E’ successo una decina di giorni fa, ma la notizia è trapelata solamente in questi giorni: il 19 novembre i terroristi hanno attaccato la base militare di Gulak nell’Adamawa State, nel nord est del gigante dell’Africa. I militari sarebbero scappati, sono intervenuti uomini della milizia privata di autodifesa locale per proteggere la città, finchè non sono arrivati i rinforzi dell’esercito regolare nigeriano per scacciare i terroristi. Secondo la testimonianza dell’ex-presidente del consiglio comunale di Gulak, James Ularamu, i militanti di Boko Haram avrebbero bruciato tutta la base.
Un ufficiale, che ha voluto mantenere l’anonimato, ha riferito ai reporter di Associated Press che i terroristi si sarebbero impossessati di un Tank T-72 e di decine di tute mimetiche nuove.
Il quotidiano nigeriano Premium Time ha riportato che oltre a 107 uomini del 157° battaglione, mancano all’appello anche tre pezzi di artiglieria, otto camion, uno dei quali carico di sessantamila munizioni.
Abubakar Shekau, è leader della setta Boko Haram dal 2009; durante questi sei anni del suo “regno” i suoi militanti avrebbero ucciso quasi ventimila persone.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes