Dalla nostra inviata speciale
Barbara Ciolli
Nairobi, 14 novembre 2015
I preparativi fervono in Kenya per la visita di tre giorni del papa, dal 25 novembre, poi la tappa in Uganda e, il 29 novembre, l’ingresso di Francesco nella Repubblica centrafricana insanguinata dalla guerra. A Nairobi il pontefice alloggerà nella sede della Nunziatura apostolica e da giorni si lavora per sistemare Manyani Road, la via della sede diplomatica vaticana, nel quartiere di Westlands dove si trovano anche diversi centri missionari cattolici, schermando ogni tappa di Francesco da possibili attentati.
Nella capitale keniota è appena arrivata un’ambulanza equipaggiata per le emergenze, il primo dei veicoli speciali predisposti, al momento parcheggiato in un luogo segreto. Dopo la visita al capo di Stato e l’incontro con le autorità e il corpo diplomatico, a Nairobi Francesco celebrerà una messa nel campus dell’Università di Nairobi, anche in ricordo degli studenti cristiani uccisi a Garissa, e terrà incontri interreligiosi. È in programma una visita al compound dell’Onu e, il 27 novembre, nello slum di Kangemi abitato da più di 100 mila poverissimi, migliaia cristiani. Infine il saluto, allo stadio Kasarani, ad altre migliaia di giovani, prima di proseguire il tour per l’Uganda.
Ad accogliere il papa si prevede l’ovazione di oltre un milione di kenioti. Molta gente di strada e pochi vescovi, fuori dal Kenya, anticipano i media nazionali, sono attesi per la prima visita in Africa di Francesco, 10 mila poliziotti verranno schierati per garantire la sicurezza del pontefice e la ristretta delegazione che lo accompagna nei viaggi. L’ambulanza per le emergenze li seguirà lungo tutto il percorso e resterà nei punti strategici durante gli impegni pubblici e privati di Francesco. A Nairobi un team di diversi medici specialisti e di personale per la gestione dei disastri ha già svolto sopralluoghi in diverse strade e nei luoghi visitati dal papa.
Normale amministrazione per tutte le visite pontefice, ma in Kenya l’attenzione alla sicurezza è massima dopo le stragi degli al Shebab, la cellula somala di al Qaeda, al campus dell’Università di Garissa, 148 morti nell’aprile scorso, e al centro commerciale Westgate, 68 vittime nel settembre 2013. Francesco ha voluto aggiungere a Uganda e Repubblica centrafricana la tappa del Kenya, in forse dopo l’attentato, e a Nairobi parlerà anche con le vittime di reclutamento forzato in gruppi armati “incoraggiandoli a incanalare le loro energie ed i loro entusiasmo nelle giusta direzione”: un incontro molto delicato.
Papa Bergoglio arriva in Kenya anche dopo le stragi di Parigi e in un momento di massimo allarme terrorismo nell’ex colonia britannica che confina con la Somalia. Secondo un rapporto che Africa ExPress ha potuto leggere, da ottobre le forze keniote sono in stato di allerta per un “obbiettivo clamoroso e problematico da difendere, dove l’invio di rinforzi o assistenza medica può essere complicato” (http://www.africa-express.info/2015/10/29/allarme-attentato-in-kenya-gli-shebab-pronti-a-colpire-un-obbiettivo-clamoroso/). Una caserma dell’esercito, della polizia o un ministero, secondo i servizi segreti, sono da settimane nel mirino delle cellule degli al Shabab.
L’attacco, sempre secondo il rapporto dell’intelligence, potrebbe essere preceduto dall’esplosione di uno o più veicoli imbottiti di petrolio seguito dal rapido dispiegamento di un commando armato con mitra e fucili automatici. Per la visita a Nairobi la stampa keniota riporta anche dell’arrivo della “papamobile” con i vetri anti-proiettile, che Francesco è altrimenti solito rifiutare durante i suoi bagni di folla. Il papa risiederà inoltre nella nunziatura apostolica, l’ambasciata vaticana a Nairobi, non in un hotel o in un alloggio fornito dal governo keniota.
È comunque abitudine del “papa dei poveri” dormire nelle sedi della Chiesa cattolica durante i suoi frequenti viaggi all’estero. Negli Stati Uniti, a settembre Francesco si fermò alla Nunziatura apostolica di New York, a Philadelphia, non essendoci un’ambasciata, alloggiò poi in un semplice seminario, come a Santa Marta. Per l’arcivescovo Charles Daniel Balvo, nunzio apostolico in Kenya e in Sudan, è “una scelta nella tradizione e nella legge della Chiesa”.
Barbara Ciolli
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@BarbaraCiolli
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