Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
25 ottobre 2015
“Non muri e prigioni ma corridoi umanitari e veri finanziamenti allo sviluppo”. Il prete eritreo Abba Mussie Zerai (nella foto), arrivato in Italia vent’anni fa da richiedente asilo, raccoglie gli sos dei migranti nel Mediterraneo, “la sua missione”, salvando migliaia di vite, ora negozia a Bruxelles le soluzioni per l’emergenza. Discute con l’alto rappresentante per le Politiche estere e di Sicurezza Ue Federica Mogherini e anche con il duro Commissario Ue per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos. “Almeno c’è interesse ad ascoltarci”, racconta il sacerdote, che quest’anno era tra i candidati al Nobel alla Pace, ad Africa Express al termine di un dibattito sul traffico di migranti, all’Internet Festival di Pisa. “Sto cercando di conciliare le nostre ragioni umanitarie con i loro interessi economici”.
Perché l’Europa che parla con “l’angelo dei migranti” continua a privilegiare i rapporti strategici e di potere con i regimi, per sfruttare le risorse minerarie ed energetiche di territori usati anche illegalmente dagli stranieri come discariche abusive. Per il gas e il petrolio nel Corno d’Africa per esempio – dove l’Italia è in prima linea – attraverso il processo di Khartum si stanno riabilitando il dittatore sudanese Omar Bashir (ricercato dal Tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità) e l’omologo eritreo Isaias Afewerki, al quale l’Ue vuole dare 300 milioni di euro (http://www.africa-express.info/2015/07/08/leritrea-schiaccia-la-sua-gente-leuropa-le-dona-300-milioni-di-euro-e-respinge-migranti/). “Ma i finanziamenti devono essere vincolati a creare posti di lavoro, non bisogna continuare a fare come con Gheddafi”, ammonisce don Zerai, “altrimenti l’Europa resta una mucca da mungere”.
Il primo Paese europeo a riaprire con Afewerki è stato proprio l’Italia Perché, se da decenni agli eritrei viene riconosciuto lo status di rifugiati politici proprio per una terribile dittatura?
Le ragioni sono economiche. Ė stato Lapo Pistelli, allora sottosegretario agli Esteri, ad andare ad Asmara nel 2014, per rilanciare le relazioni bilaterali. A me disse, “ho un mandato non solo europeo, anche oltre” e infatti poi si è dimesso per diventare vicepresidente dell’Eni.
Che interessi hanno le compagnie petrolifere nel Corno d’Africa?
C’è molta attesa per alcuni sondaggi su gas e petrolio in Eritrea, in Somalia… Non c’è solo l’Eni, la Gran Bretagna sta stringendo accordi con Asmara. Per questo l’Europa si è accodata all’Italia, con la proposta dei 300 milioni. E non c’è solo l’Europa: anche il Qatar ha messo un piede in Eritrea, dalle ultime notizie sembra che controlli una raffineria per il petrolio.
Ma l’Eritrea era considerata vicina all’Iran e all’asse dei non allineati, opposto al Qatar. Per quanto altre notizie, riportate anche da Africa Express (http://www.africa-express.info/2015/08/08/le-orecchie-di-israele-sul-corno-dafrica-chi-controlla-le-isole-del-mar-rosso/), indicassero una forte presenza di Israele nel Corno d’Africa, e anche l’aiuto dell’Eritrea ai sauditi, nella guerra in Yemen.
La logica è riequilibrare gli assetti. Isolare troppo Afewerki, che finanzia diversi gruppi armati per i suoi comodi, era considerato pericoloso. Così l’Eritrea si sarebbe avvicinata troppo all’Iran, disturbando Israele, che ha basi militari nel Corno d’Africa e dalle isole eritree del Mar Rosso può bloccare i sottomarini iraniani e controllare il Medio Oriente. Il nostro territorio e le nostre acque hanno sempre fatto comodo a governi anche contrapposti: in Eritrea si parla da anni, con insistenza, di rifiuti tossici scaricati dall’Iran, da Israele. Anche dall’Italia, si dice di un’azienda che fa assemblaggio per elicotteri di Caserta. Siluri di scorie sparati dalle navi sul fondo del mare, che nel tempo rilasciano le sostanze.
Perché crede che il processo di riapertura in corso renderà l’Europa ancora ricattabile dai regimi?
In Eritrea, per esempio, Afewerki giustifica la leva obbligatoria perpetua con l’assenza di altri settori d’occupazione. Se gli si danno soldi, allora lo si deve impegnare a reinvestimenti controllati e rispettare i diritti umani. Ma al momento i piani dell’Ue non prevedono tali vincoli.
A cosa serve il cosiddetto “processo di Karthum”, il protocollo firmato un anno fa a Roma tra l’Ue, i Paesi del Corno d’Africa, il Sudan e altri Paesi africani di transito dei migranti?
L’Europa – con l’Italia apripista – è disposta a dialogare con i dittatori nella speranza di bloccare flussi, in cambio dell’apertura di canali economici. Se in Libia Gheddafi caricava i migranti sui camion e li mandava a morire nel deserto, ora si esternalizzano i confini sempre più a sud, con respingimenti e altre prigioni sotto l’insegna di “centri d’accoglienza”. Lo si sta già facendo in Niger, i cadaveri del Mediterraneo sono spostati nell’Africa centrale. L’Europa non ha messo in campo strumenti di tutela.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) stima in almeno 3.100 i morti nel Mediterraneo dall’inizio del 2015, e ancora non si conoscono i numeri dei Balcani.
Lo strazio nei Balcani e nel Mediterraneo poteva essere evitato con ponti aerei e corridoi umanitari dai Paesi dei conflitti o loro confinanti. Colpire gli scafisti come vuol fare l’Ue è inutile: sono come gli spacciatori, se ne troveranno sempre di altri. Anche di trafficanti, che tra l’altro sono già in molti. C’è domanda, si escogitano sempre nuove vie. In Eritrea ci sono anche dei governativi corrotti a organizzare i trasferimenti in auto verso la Libia.
Recentemente non ci sono stati degli arresti importanti, in Europa, di capi e cassieri delle reti di trafficanti, uno dei quali eritreo, in Germania, e operativo su Tripoli?
Finora le inchieste internazionali hanno colpito solo i livelli bassi, e al limite medi, delle reti. Su alcuni naufragi nel Mediterraneo si è poi indagato, ma senza fare piena luce sulle responsabilità delle autorità competenti. I migranti non si fermeranno e i trafficanti si possono stroncare solo offrendo vie legali di spostamento e cercando rimedi alle cause di fuga.
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli
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