Speciale per Africa ExPress
Clara Agosti
Milano, 25 ottobre 2015
Sono davvero tanti, troppi, i casi di violenza sulle donne che accadono un po’ ovunque, nel mondo. L’ultima ragazza ad aver perso la vita, per mano del proprio marito, fidanzato, aggressore, non chiude mai l’elenco di una lunga serie. La morte in questo modo diventa un’abitudine, come in guerra.
Sono state fatte ipotesi e date tante spiegazioni per cercare di comprendere questo tipo di evento: perché un essere umano uccide un proprio simile?
Nella notte di San Valentino del 2013, Oscar Pistorius uccide con 4 colpi di pistola, una della sua collezione, la fidanzata Reeva Steenkamp.
Lei è chiusa a chiave nel piccolo bagno della camera da letto, lui si sveglia per via dei rumori che arrivano da lì, è spaventato, pensa ci sia un intruso, e non Reeva, chiusa nel bagno. Lui recupera la pistola carica che tiene sotto il letto, infila le protesi e una volta davanti alla porta del bagno, dopo aver urlato, spara quattro colpi mortali. I fatti li racconta così Pistorius in tribunale.
Per un professionista che si occupa dell’animo umano, l’analisi di una qualsiasi situazione, richiede pochi secondi. Un certo tipo di sguardo, il tono della voce possono essere sufficienti per avere un’idea delle emozioni, i sentimenti che sono in gioco. Poi cosa se ne faccia dell’analisi lo psicoanalista è un altro paio di maniche: c’è il segreto professionale, la responsabilità dell’ambiguità dei fatti, l’assenza della vittima e la negazione del paziente. La percezione di una società che non è pronta a vedere o ascoltare.
Pochi secondi che racchiudono anni di terapia personale, tirocini, studio, aggiornamenti, ricerche. Anni vissuti senza la certezza che quella che è un’arte, trovi i giusti territori in cui potersi sperimentare. Perché ci si deve curare e comprendere prima di poter curare gli altri, prima di pensare di poter comprendere il loro comportamento? Perché si è simili. Esseri umani che si muovono secondo quelle leggi naturali di adattamento vitale e di limite.
Uno psicologo potrebbe ipotizzare la reazione di Pistorius come conseguenza della paura. Un comportamentista leggerebbe i fatti esposti in tribunale, cercando i significati che collegano gli eventi. La rabbia arriva dalla paura, entrambe attivano soluzioni da attuare: o scappi o attacchi.
La rabbia istintiva fa agire in questo modo. Un’emozione molto sana che permette a ciascun individuo di preservare la propria vita, di proteggersi. Un’emozione che, come le altre, può essere gestita con piccole esposizioni graduali fino ad arrivare ad educarla, ad educarsi. L’essere umano senza questo tipo di rabbia non si sarebbe potuto evolvere.
Torniamo alla realtà, quella concreta, quella dell’analisi. Un uomo di meno di 30 anni, fisicamente e psichicamente allenato (o educato), abituato alla disciplina che impone lo sport agonistico, capace di percepire l’adrenalina in ogni cellula del suo corpo, spara, ad una persona chiusa in un bagno della propria abitazione.
Oltre a quello psicologico, ci sono almeno altri due punti di vista per leggere questo tipo di comportamento umano. Quello esclusivamente medico psichiatrico: un uomo percepisce la propria realtà fisiologicamente (con i propri sensi) per quella che non è. Pensa di sentire un suono, una voce, ma la voce non c’è, il suono non è stato emesso, un’allucinazione nel deserto del proprio animo.
Il male ha raggiunto gli strati profondi degli organi. Oppure il punto di vista integrato: una certa parte della mente, quella dell’emisfero destro, analizza la percezione dei sensi in modo distorto. Quest’ultimo strumento, quello ibrido, unito al mistero del fato, credo sia il più attendibile, per poter comprendere una situazione così complessa com’è quella di Oscar e Reeva.
Nei tribunali si espongono i fatti e, se vengono richieste, le perizie psichiatriche (e non psicologiche). Psichiatrico è il campo che si occupa del corpo e di come si comporta. Psicologico, per la cultura della salute mentale occidentale, è il settore della filosofia della mente. Entrambe le discipline insieme non hanno più di 130 anni. Questo per dire che ci chiediamo da troppo poco tempo chi siamo, come ci comportiamo e perché.
Agiamo quando usiamo solo o prevalentemente una parte del nostro cervello: quello istintivo. L’istinto ci dice che, se siamo forti nell’aggredire e siamo in pericolo, dobbiamo attaccare, se siamo veloci, dobbiamo scappare. Il corpo dice alla mente cosa fare. Il corpo sa. La mente si spegne e lascia che il corpo agisca. Questo accade sia che io voglia eliminare un ipotetico aggressore chiuso nel bagno di casa mia, sia che io voglia eliminare rabbia (o la furia ?) che ho in corpo.
Bisognerebbe chiedere a Pistorius perché dopo aver sentito i rumori nel bagno non sia tornato indietro a svegliare la fidanzata per portarla in salvo fuori dalla casa. Lontano dall’ipotetico aggressore. Ma saremmo nell’ambito dei se dei comportamenti della psicologia, dove la ragione riesce a raggiungere la corteccia prefrontale. Visti i fatti, questo non è il caso. Quando la percezione si distorce, entra in gioco l’agito e si penetra nel campo della medicina e della psichiatria, dove gli attori del dramma sono il corpo e i suoi sofisticati e velocissimi dinamismi.
Così veloci che nella quotidianità famigliare spesso non vengono neppure notati o evitati: “Cos’hai ? Niente”. Risposte che lasciano cadere in un vuoto di non detti, pesanti emozioni. Accumulati nel tempo. Esplosivi appunto. Fino ad arrivare alle tristi dichiarazioni di alcuni vicini di casa increduli: “Era una persona assolutamente normale. Non alzava mai la voce”. Oppure che confermano comportamenti allarme: “Lei era sempre triste”.
A due anni e mezzo di distanza dall’episodio, l’analisi è ancora lì, nell’animo di Oscar Pistorius. Se ne percepisce la natura cristallizzata e immutata dal timbro della voce, durante la deposizione. Si potrebbe ipotizzare di ricostruire il vissuto di Oscar, che affronta frustrazioni e sofferenze al limite dell’umano (il soprannome Blade Runner forse ha un significato che va oltre l’apparenza).
Si potrebbe cercare di comprendere il contesto sociale e ambientale in cui è cresciuto Pistorius: in Sud Africa il numero delle persone con porto d’armi è uno dei più alti al mondo. E troppo poche sono le riflessioni fatte sulle conseguenze per chi impugna un’arma, chi prende la mira (anche se lo fa in direzione di una sagoma di cartone) e fa fuoco, con l’intento di eliminare qualcosa o qualcuno all’esterno di se’.
Bisognerebbe chiederlo a Pistorius dove la sente la rabbia quando qualcuno lo guarda in un certo modo (con pietà ?), quando nonostante arrivi secondo in una gara, abbozza a un sorriso, e quando, nonostante tutte le sofferenze affrontate, qualcuno gli rimanda l’ennesima fatica da vivere.
A volte gli sguardi che sento addosso sono di persone che non comprendono la scelta personale di voler conoscere il lato oscuro dell’umanità. Nonostante le disapprovazioni di alcuni colleghi, vado avanti a cercare, sperando prima o poi di trovare il drago da uccidere, la bestia che stritola il cuore dell’ennesimo carnefice. Uccidere il drago, così che l’aggressore, che agisce, spostando sempre la propria furia sulla vittima, possa veramente essere libero.
Clara Agosti
clara.agosti@virgilio.it
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