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Guinea Equatoriale: l’economia corre ma il popolo è affamato

EDITORIALE
Andrea Spinelli Barrile
8 ottobre 2015

La Guinea Equatoriale è il paese più ricco di tutta l’Africa: a dirlo è la Banca Mondiale che, in un rapporto pubblicato lunedì 5 ottobre 2015, quantifica il prodotto interno lordo del piccolo paese dell’Africa subsahariana in 14,31 miliardi di dollari (al 38esimo posto nel mondo) per meno di 800mila abitanti. Un dato storico per l’Africa, superiore a quello di economie in forte crescita come quella del Brasile, del Cile e della Polonia.

Da dove arriva tutta questa ricchezza, distribuita interamente in un ristrettissimo gruppo di accoliti al potere? La realtà sociale equatoguineana, infatti, racconta di un popolo che per l’80% vive con 1,25 dollari al giorno.

La Guinea Equatoriale negli ultimi due anni ha scoperto giacimenti di gas naturale e miniere diamantifere di tutto rispetto, oltre che aver aperto cave per l’estrazione del coltan (un minerale utilizzato per la realizzazione di smartphone e tablet): la verità però è un’altra e orienta il grande business del piccolo paese africano sul solito redditizio petrolio, nonostante il prezzo al barile si sia più che dimezzato negli ultimi 24 mesi.

Il Pil equatoguineano, cresciuto nel 2014 del 4,6 per cento, crescerà nel 2015 “solo” del 3,7 per cento, un calo non da poco che mostra come il crollo del prezzo del petrolio abbia avuto una forte influenza sull’economia estrattiva guineana. Nonostante questi dati che descrivono un’economia in forte crescita, la Camera di Commercio della Guinea ha dichiarato nel novembre scorso lo Stato “insolvente” verso le aziende straniere degli altri settori strategici (opere pubbliche, legname ed energia in particolare).

Chi conosce la realtà economica della Guinea Equatoriale sostiene che “il petrolio è un affare diverso” e in effetti sembra proprio essere così: oggi la Guinea è il terzo esportatore di petrolio dall’Africa e la multinazionale più presente nel mercato estrattivo di idrocarburi è l’americana Exxon Mobil, già coinvolta nel 2004 nello scandalo Riggs Bank, quando una Commissione d’Inchiesta del Senato americano scoprì versamenti per 300 milioni di dollari sui conti coperti che il Presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo aveva nella banca americana con sede a Washington, versamenti effettuati dalle multinazionali petrolifere Exxon ed Hess Corporation.

Un “affare diverso” quindi da tutti gli altri business pubblici e privati del piccolo paese africano perché il protagonista è “colui che tutto può”: il potentissimo ed anziano Teodoro Obiang.

Un affare oscuro e incalcolabile, al netto del fatto che nessuno conosce esattamente gli introiti petroliferi guineani: precedentemente la produzione principale era il legname, grazie ad un territorio coperto per oltre il 60 per cento da foreste e boschi, business oggi precipitato ad un misero 5 per cento del totale e utilizzato ampiamente dal figlio di Obiang, il secondo vicepresidente Teodorin Nguema Mangue, per alimentare i propri conti correnti con mazzette e ricatti agli impresari grazie ad un acuto sistema di concessioni governative, estorsioni e controllo personale del vicepresidente.

Anche Teodorin Nguema, indicato dai più come il successore del padre alla presidenza, è molto vicino al mercato petrolifero guineano e dai suoi ingenti guadagni: già nel 1991, quando le grandi compagnie stavano ancora solo esplorando gli enormi giacimenti della Guinea Equatoriale, la multinazionale Walter Oil&Gas Corporation pagò i suoi studi americani alla Pepperdine University di Malibu (cinque improduttivi mesi di studio) oltre che la sua permanenza al lussuoso Beverly Wilshire Hotel e in alcune residenze di lusso a Malibu.

Il petrolio continua a giocare un ruolo chiave nei rapporti tra Stati Uniti e Guinea Equatoriale, che ufficialmente risulta ancora tra gli “alleati” di Washington: secondo Tutu Alicante, un attivista per i diritti umani e fondatore della ONG EGJustice, il ruolo del petrolio è tutt’ora importantissimo nei rapporti tra i due Paesi, essendo la produzione in mano ad aziende americane: sarà forse questo il motivo per il quale Teodorin Nguema è stato recentemente accolto alle Nazioni Unite con tutti gli onori e ricevuto dalla famiglia Obama con foto di rito nonostante i suoi guai giudiziari con il Dipartimento di Giustizia USA, che attende ancora che il rampollo di casa Obiang onori il patteggiamento da 30 milioni di dollari al termine di un processo per riciclaggio internazionale dei proventi di vari reati (corruzione ed appropriazione indebita) perpetrati come governante nel proprio paese.

Quello americano è un atteggiamento decisamente ambivalente che, ad oggi, ha come unico effetto quello di garantire semplicemente il mantenimento dello stato delle cose: la situazione potrebbe evolversi rapidamente e sembra che possa essere, anche in questo caso, l’arrivo dell’orso russo a motivare gli americani verso un cambio di atteggiamento.

Dopo l’accordo Russia-Guinea Equatoriale per facilitare l’ingresso di navi da guerra russe nel porto di Malabo è stato recentemente siglato un secondo memorandum tra i Ministeri della Difesa dei due paesi: il portavoce del ministero russo, il primo capitano Igor Dygalo Rango, ha incontrato i giornalisti a Mosca venerdì scorso dando la notizia di un nuovo accordo per “ampliare la cooperazione navale sui principi di equità e di partenariato”: le due marinerie effettueranno esercitazioni navali congiunte e collaboreranno nel settore della cantieristica navale militare.

Il documento prevede infatti visite pianificate di navi militari e seacraft ausiliari nei porti di entrambi i paesi, esercitazioni congiunte, addestramento degli equipaggi, formazione navale, idrografia e collaborazione sulla cantieristica navale. Il protocollo porta la firma dell’ammiraglio Viktor Chirkov, comandante in capo della Marina russa, e del ministro della Sicurezza Nazionale della Guinea Equatoriale Nicholas Obama Nchama.

Andrea Spinelli Barrile
spinellibarrile@gmail.com
Skype: djthorandre
twitter @spinellibarrile

Nelle foto dall’alto in basso: gente a Malabò, Teodoro Obiang, il padre, Teodorino Obiang, il figlio

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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