Pace lontana in Centrafrica: ricominciano gli scontri, i saccheggi e le violenze

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 7 ottobre 2015

Decine di morti e almeno 150 in quella che è la più cruenta ondata di violenza che ha colpito la Repubblica Centrafricana (CAR) dal 2013. In un comunicato del ministero della Sicurezza Pubblica centrafricana, il portavoce del governo,  Dominique Saïd Panguindj, ha stilato il triste bilancio di questi ultimi giorni infuocati: sessantuno persone sono morte, altre trecento ferite, alcune anche in modo grave.

Gli scontri si sono verificati durante la notte di sabato 26 settembre, dopo l’uccisione di un giovane conduttore musulmano di boda-boda (cioè di moto-taxi) a Bangui, capitale del CAR. Secondo alcuni testimoni, il ragazzo sarebbe stato sgozzato da due uomini: non è dato di sapere il motivo dell’assassinio. Il suo corpo è stato portato durante la stessa notte nel quartiere musulmano PK5 della capitale, dove giovani residenti hanno eretto delle barricate.

CaSCHI BLU SU CAMION

A rappresaglia del vile atto, altri musulmani hanno aperto il fuoco in un quartiere a maggioranza cristiana, incendiando anche case e macchine. E così le violenze si sono propagate velocemente in diversi quartieri, paralizzando la città per alcuni giorni, durante i quali centinaia di prigionieri, per lo più militanti degli anti-balaka (corpo paramilitare composto prevalentemente da cristiani e animisti), sono riusciti ad evadere dalle galere di Bangui.

A nulla è valsa l’imposizione di un coprifuoco; i manifestanti hanno chiesto le dimissioni della presidente di transizione, Catherine Samba-Panza, che ha definito le brutalità, la ferocia di questi giorni come un colpo di Stato. Una “presa del potere con la forza”, l’ha definita, sottolineando che si è voluto esplicitamente interrompere il processo elettorale, il dialogo politico e il patto repubblicano.

Al momento degli scontri, la Samba-Panza si trovava al Palazzo di Vetro di New York, dove ha presenziato all’assemblea generale dell’ONU. E’ tornata in patria solamente il 30 settembre, accompagnata dal capo di MINUSCA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic), il gabonese Parfait Onanga-Anyanga, nominato lo scorso agosto, dopo le dimissioni del senegalese Babakar Gaye, richieste dal segretario generale dell’ONU, Ban-Ki moon, a causa degli scandali sessuali che ha visto protagonisti alcuni caschi blu nella Repubblica Centrafricana. (http://www.africa-express.info/2015/08/12/scandali-sessuali-e-caschi-blu-si-dimette-il-capo-della-missione-dellonu-centrafrica/)

Sconcertante la distruzione di luoghi sacri, come la Chiesa di Saint-Michel nel quartiere musulmano PK5, e, in particolare, la moschea di Lakouanga, già devastata in precedenza dagli anti- balaka (gruppi armati composti prevalentemente da cristiani). Per mesi giovani cristiani, residenti del quartiere, erano impegnati nella sua ricostruzione. Era il cantiere simbolo della riconciliazione tra le comunità.

Il corpo del conducente di boda boda

Padre Etienne Cotowawé, sacerdote di una parrocchia che dista solo cinquecento metri dalla moschea, ha riferito che i ragazzi del quartiere erano disarmati, non potevano intervenire in nessun modo, ma sono stati ugualmente minacciati dai vandali con queste parole: “Non impediteci di distruggere la moschea! Torneremo e distruggeremo tutto il quartiere di Lakouanga”.

La ferocia inaudita si è riversata anche sulle ONG, come l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), la sede dell’Azione Contro la Fame e altre, presenti nel Paese: uffici e abitazioni di funzionari e impiegati distrutti e saccheggiati. Ora la loro attività stenta a riprendere, almeno duecento operatori umanitari hanno lasciato l’ex-colonia francese. Per il momento sono in funzione solo le attività d’urgenza, come quella di Medici Senza Frontiere (MSF).

Si stima che in questi ultimi giorni oltre trentamila persone abbiano lasciato le loro abitazioni per sfuggire alle violenze. Si aggiungono così ai 430.000 sfollati e ai 460.000 rifugiati nei Paesi confinanti come Ciad, Camerun, Congo-K e Congo-Brazzaville. Oltre la metà della popolazione, ossia 2,7 milioni di persone, hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente.

Ora Bangui cerca di ritornare alla normalità. Lunedì uffici e banche sono stati riaperti. Qua e là si trovano ancora resti di barricate. La città era silenziosa e le strade ancora semi-deserte.

Per domenica gli abitanti del quartiere PK5 hanno indetto una manifestazione in favore della pace, della riconciliazione. La comunità musulmana non accetta le accuse e le insinuazioni di essere responsabile della crisi che ha investito la Repubblica centrafricana dal dicembre 2013.

I caschi blu di MINUSCA, che operano a Bangui, il 28 settembre hanno disperso una manifestazione durante la quale sono morte tre persone; i dirigenti di MINUSCA hanno negato di aver sparato contro la folla inferocita e respinto qualsiasi loro responsabilità e coinvolgimento. La popolazione non ama la presenza delle forze internazionali presenti sul territorio. Tutti hanno chiesto il loro ritiro. Durante i disordini i più si sono rinchiusi nei loro alloggi di Bangui per questioni di sicurezza.

Il conflitto nella ex-colonia francese si consuma lentamente e inesorabilmente nel silenzio dei media. Migliaia di morti, centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati non fanno notizia, una guerra di “religione” tra bande armate anti-balaka e ex-Séléka, finanziate anche dalle multinazionali del legno pregiato  (http://www.africa-express.info/2015/07/19/centrafrica-le-multinazionali-e-il-saccheggio-delle-grandi-foreste-pluviali/) e dei diamanti.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Nella foto in alto caschi blu a Bangui. In basso il corpo del conducente di boda boda

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