La speranza dei detenuti nelle carceri africane in una lettera inviata ad Africa ExPress

Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Milano, 18 settembre 2015

“Perché mai nigeriani, camerunesi, ivoriani, guineani…non prendono l’aereo come fanno tutti e arrivano invece da clandestini con i barconi?”. Questa è una domanda che si sente spesso, sempre più spesso, nei dibattiti pubblici, in televisione e nei bar di tutta Italia; a suo modo non è una domanda stupida, anzi è un buonissimo spunto per cominciare un dibattito più serio, e certamente necessario, sugli esodi dall’Africa subsahariana.

I flussi migratori di uomini e donne d’ebano dell’Africa centrale che restano ai più incomprensibili perché “lì non c’è la guerra” o quantomeno non in tutta questa vastissima area del Continente (in percentuale dove questo fenomeno incide di più). Migranti economici, li chiamano, come se non avere speranze a casa propria sia una colpa personale, un’onta non lavabile nemmeno con il sangue misto all’acqua di mare. Una delle verità, solo una, è che c’è tanta povertà e tantissima ricchezza, una forbice sociale sempre più ampia che sta decapitando, anche fisicamente, un capitale umano enorme.

Africa Express vuole proporre una lettera di un detenuto nelle carceri africane, scritta quasi un anno fa, la vigilia di Natale del 2014. Questa lettera, un vero e proprio urlo di ansiosa disperazione, è stata censurata dalla famiglia di questa persona per paura che potesse rappresentare la sua definitiva condanna a morte: era infatti indirizzata, oltre che ad alcuni giornali, all’Unione Africana e rappresenta non tanto una richiesta di aiuto quanto più una vera e propria denuncia di orrori e atrocità all’interno di un sistema corrotto e crudele. Un sistema non solo carcerario ma anche economico, politico e sociale di un’area del Continente ricchissima, dove il lavoro non manca e, con esso, lo sfruttamento incondizionato della disperazione umana.

In particolare la lettera, in originale scritta in francese, si riferisce alla Guinea Equatoriale, una delle economie più ricche dell’area subsahariana, dove negli scorsi mesi migliaia di lavoratori stranieri (operai, carpentieri, agricoltori, artigiani, commercianti e colletti bianchi maliani e camerunesi) sono stati espulsi senza alcuna ragione, molti dopo aver subito carcere e torture.

Ancora oggi migliaia di cittadini stranieri, anche italiani, sono detenuti in quelle carceri, gettati nella disperazione della dimenticanza. Quando usciranno saranno stati spogliati di tutto e sbattuti al confine più vicino, dove cominceranno una lunga marcia della disperazione verso nord.

 “24 dicembre 2014
Al Presidente in carica dell’Unione Africana, con estensione di questa lettera al Segretario Generale dell’ONU […]

Vostra Eccellenza,

Signor Presidente, ho deciso, prima che sia troppo tardi, di non lasciare che il mio sacrificio resti vano per gli Africani. Il mio nome è Roberto Berardi; forse questo non vi dice nulla, è normale: sono uno degli ambasciatori sconosciuti dell’operato africano nel mondo, senza nome né vantaggi. Sono un uomo bianco che ha avuto il privilegio e l’onore di aver creato una famiglia con la vostra razza, una scelta, ve lo assicuro, molto ben riuscita.

Ma oggi non vi scrivo per raccontarvi la mia storia, visto e considerato che questa ha già fatto il giro del mondo, ma per avvertirvi di una piaga che colpisce un piccolo angolo dell’Africa e che sarete tutti obbligati, prima o poi, ad affrontare: per questo desidero che anche il Presidente della Costa d’Avorio, del Burkina Faso, del Benin, del Gabon, del Mali e soprattutto del Camerun si uniscano a questa presa di coscienza in quanto sono i loro cittadini ad essere maggiormente minacciati. Molto probabilmente i vostri ambasciatori e consoli non vi informano in modo sufficientemente chiaro di ciò che accade in Guinea Equatoriale nei confronti dei vostri fratelli e delle vostre sorelle, qualcosa di DEPLOREVOLE.

Non è il caso di nasconderci dietro le parole: si tratta di immigrati, la maggior parte dei quali senza documenti…e quindi? Non sono forse ugualmente degli esseri umani? Quello che senza dubbio vi starete chiedendo è: perché questo bianco si impiccia dei nostri affari interni?

Io vi rispondo, onorevoli presidenti, che questo problema verrà a galla un giorno grazie a centinaia di testimonianze drammatiche: quel giorno cosa risponderete ai genitori, ai parenti delle vittime? “Non ne sapevamo nulla…”? Vi accuseranno di negligenza, di non aver voluto vedere, di non aver reagito, e tutto questo senza nemmeno conoscere i particolari della vicenda. Non vi lasciate ingannare dai discorsi panafricani, il cui unico intento è insabbiare il problema e nascondere la verità utilizzando sempre gli stessi argomenti: “i bianchi ci vogliono destabilizzare, le ONG sono spie internazionali, è colpa dell’intransigenza occidentale”…

No, non permettetegli di prendersi gioco della vostra intelligenza. Voi siete gli eletti di questi grandi paesi e i rappresentanti di milioni di persone, siete il simbolo della speranza e del futuro di questo maestoso Continente abitato da popoli straordinari avvezzi alla sofferenza ma generosi, ospitali, altruisti e ricchi di valori familiari, dove i vecchi non vengono abbandonati e i bambini sono sempre considerati un dono di Dio. Tutte queste ammirevoli virtù, che noi occidentali abbiamo tristemente smarrito, voi avete il dovere di difenderle, proteggerle strenuamente e impedire questo tipo di comportamento. Signor Presidente, la famiglia Obiang vi trae in inganno, tradendo la vostra fiducia. Essi non sono altro che mafiosi, nel vero senso del termine.

Dovete sapere che qui in Guinea Equatoriale questo regime trama per terrorizzare gli stranieri, soprattutto i neri: contano di salvaguardare la loro identità tribale, ma sopratutto le loro ricchezze effimere, attraverso la violenza: pratiche razziste e xenofobe che appartengono ad altri tempi. Nel corso della giornata i vostri concittadini vengono uccisi, battuti, torturati, depredati dei loro beni, imprigionati senza validi motivi, senza possibilità di difendersi.

Alcune donne vengono stuprate, altre sono obbligate a darsi alla schiavitù sessuale. E che dire delle forze di Polizia, della Gendarmeria, dei militari, per non parlare della terrificante «Fuerza Especial» che può agire del tutto impunita? Tutto questo non rappresenta assolutamente il popolo della Guinea Equatoriale, ma unicamente un piccolo cerchio di accoliti costretti a comportarsi in tale maniera per guadagnarsi la fiducia del Capo, rimediare un po’ di denaro e non farsi identificare come un ribelle dal sistema vigente. Io sono stanco, non ne posso più di vedere e sentire senza poter reagire, per questo ho deciso di parlarvene: non sono in cerca di un qualche ritorno ipocrita da parte vostra, anche perché è probabile che non esca vivo da questo inferno.

Ma voi non dovete accettarlo. Quando è troppo è troppo!

Evitiamo ogni ipocrisia verso noi stessi e scegliamo invece di essere critici: questa famiglia regna sul paese facendo affidamento sulla forza, sulla brutalità, sull’assenza d’informazione. La loro arroganza, insieme alla grande ricchezza petrolifera, ha causato un delirio comportamentale che è quasi demoniaco.

Non ve ne lavate le mani proteggendoli, essi non vi amano: vi disprezzano.

Ne guadagnerete enormemente in senso della giustizia, questo è sicuro, ma soprattutto avrete l’occasione di mostrare a tutti la vostra migliore immagine, l’immagine che vi spetta di diritto: un’immagine positiva di un’Africa che è cambiata, di uomini e donne che si battono per riformare il loro ambiente. Una battaglia dura, per la quale tutto il mondo dovrà congratularsi.

Siate inflessibili verso i malfattori che continuano senza sosta a vanificare i vostri giusti sforzi. Date l’esempio una buona volta.

 NO, BASTA COSÍ!

Conosco bene i loro metodi: pensano che il denaro possa far tacere chiunque. NO, non questa volta! Non lo accettate, percéè conquisterete il rispetto del mondo con la dignità e le buone azioni.

Se non credete alle mie parole indagate meticolosamente, lanciate appelli per trovare testimoni nelle vostre comunità: vedrete che non ho mentito.

Vi ringrazio signor Presidente, e mi perdoni gli errori ma non padroneggio la lingua francese in tutta la sua complessità. Spero solo che un giorno qualcuno possa dire ai miei figli, di cui sono enormemente fiero: “vostro padre ha fatto qualcosa per l’Africa”. Quel giorno, io sarò ripagato di tutto. Grazie ancora.

 ROBERTO BERARDI
CELLA D’ISOLAMENTO N°13
PRIGIONE DI BATA GUINEA EQUATORIALE”

Questa lettera non è disperazione ma speranza: è una delle chiavi per comprendere, concretamente, il dramma delle popolazioni soggiogate dai terribili regimi africani, dove ufficialmente non c’è nessuna guerra, che vengono ricevuti con ogni onore alla Casa Bianca, al Parlamento Europeo e persino in udienza privata dal Papa, da quel Francesco che ha fatto della lotta alla corruzione e dei diritti degli ultimi il sigillo del suo pontificato.

Questa lettera è speranza perché rappresenta l’urlo di denuncia e di dolore di un qualsiasi detenuto in una qualsiasi di queste prigioni inumane, dove violenza e terrore, menzogna e tradimento, sono le armi migliori per il mantenimento dell’ordine pubblico. Non è più la voce di Roberto Berardi, che dall’inferno è tornato il 14 luglio scorso dopo aver scontato per intero ed anche di più la sua ingiusta pena dimenticato dai media, abbandonato dalle istituzioni e derubato di ogni bene: è la voce di chi vive, ancora oggi, il dramma delle torture e delle galere di questi luoghi dimenticati, ricchissimi, con parametri economici norvegesi e parametri umanitari da schiavismo e inquisizione.

In questo senso la lettera che avete letto rappresenta la speranza, la speranza che tutti sappiano, che nessuno sia più disposto a non voler vedere, a non voler sentire: è la speranza, in un certo senso, della vita e della bellezza, del diritto e della giustizia. Ciò che manca di più, in Africa, non è né il lavoro né la salute: è la speranza. In un certo senso questa lettera colma un piccolo vuoto. Per tutti noi.

Andrea Spinelli Barrile
spinellibarrile@gmail.com
Skype: djthorandre
twitter @spinellibarrile

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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