Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 31 agosto 2015
Il governo federale somalo ha affidato per vent’anni la gestione, la ristrutturazione e l’ampliamento del porto di Mogadiscio a una società turca, del gruppo economico finanziario e di costruzioni Albayrak, che si è impegnata a dotare il più importante scalo dall’ex colonia italiana di nuove e evolute tecnologie che lo rendano più moderno, efficiente e conforme agli standard internazionali attuali.
La decisione del governo somalo ha inquietato gli operai e gli impiegati dello staff del porto di Mogadiscio che hanno manifestato la loro contrarietà all’operazione. Temono di essere rimpiazzati da turchi che potrebbero arrivare direttamente dall’Asia minore.
Lo scalo è la più importante opportunità di lavoro di tutta la Somalia e se i locali dovessero perdere il lavoro a favore di “stranieri” sarebbe un vero disastro.
Il quotidiano è diventato famoso per la sua scarsa professionalità e per l’eccessiva tendenza alla disinformazione. Ha inventato di sana pianta intere parti di un’intervista a Noam Chomsky (sulle moti di piazza in Egitto) e creato con la fantasia storie per screditare i manifestanti che protestavano contro il governo turco durante le dimostrazioni a Istanbul del 2013: attacchi mai avvenuti alle donne che portavano il velo o festini a base di birra, descritti nei dettagli usciti da una penna prolifica, nella moschea dove i giovani si erano rifugiati entrando con le scarpe ai piedi. Tutte cose assai sacrileghe per i musulmani.
La grande compagnia è stata fondata subito dopo la seconda guerra mondiale, nel 1952, da Ahmet Albayrak, che l’ha gestita assieme ai sui sei figli fino alla morte, nel 2010. Uno degli eredi, Mustafa Albayrak, è amministratore delegato del Yeni Şafak.
La scarsa o cattiva reputazione di cui gode il gruppo Albayrak fa legittimamente sospettare che gli affari ottenuti dal governo Erdoğan in patria non siano proprio limpidi e trasparenti. Da qui lo stesso dubbio che anche la nuova concessione per gestire in porto di Mogadiscio sia costata qualche mazzetta o kickback, come si dice in inglese.
L’accordo non è piaciuto neppure a alcuni membri del parlamento somalo che hanno sollevato critiche e domande. Chi ha negoziato l’accordo di cui non si è saputo nulla sino al momento in cui è stato sottoscritto dalle parti, e è stato concesso un periodo così lungo, vent’anni, si sono domandati alcuni legislatori?
Da un po’ di tempo il governo è accusato di negoziare e chiudere contratti con società straniere a detrimento dei locali. Si sta parlando dei diritti di pesca o di quelli per lo sfruttamento delle risorse minerarie o della gestione dell’aeroporto. Anche i donatori sono piuttosto seccati perché vedono alcuni contratti poco chiari, con rischi di corruzione e norme che favorendo troppo le compagnie fanno pensare a tangenti e mazzette.
La penetrazione turca in Africa, soprattutto nei Paesi musulmani, è ogni giorno più evidente, seconda solamente a quella cinese. La Turkish Airines vola ormai quasi ovunque, i supermercati Afra hanno aperto filiali e branch dappertutto (il grande magazzino di Khartoum è enorme), le compagnie di costruzioni, come l’Albayrak Gruop, sono impegnate in diversi progetti. L’infiltrazione dell’unico Paese islamico della NATO è cominciata all’inizio degli anni Novanta quanto il comando della missione dell’ONU, UNOSOM 2 (United Nations Operation in Somalia) fu affidata al generale turco Çevik Bir.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Nella foto in alto navi da guerra turche nel porto di Mogadiscio. In centro il porto in attività e in basso il generale Çevik Bir fotografato nel 1993 mentre era capo della missione UNISOM in Somalia.
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