Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 agosto 2015
“La schiavitù è un reato contro l’umanità e non è prescrivibile”. E’ il primo articolo della nuova legge approvata all’unanimità dall’assemblea nazionale della Mauritania, il 12 agosto. L’ex colonia francese è stato l’ultimo Paese ad aver abolito la schiavitù nel 1981, ma solo sulla carta. Secondo il rapporto della “ONG Walk Free” nel 2014 la Mauritania vantava ancora il triste primato di avere il più alto numero di schiavi: rappresentano il quattro percento della popolazione, ossia centocinquantamila persone.
Una delle forme di schiavitù maggiormente praticata nel Paese è il matrimonio coatto, praticato sin dal XI secolo. Una tradizione talmente radicata nella cultura mauritana, che una prima legge emanata nel 2007, dietro forti pressioni della comunità internazionale, non ha per nulla intimorito gli schiavisti. Le sanzioni, le punizioni per il reato commesso erano infatti troppo miti e, tra l’altro, non venivano quasi mai inflitte applicate e i reati non denunciati.
Il ministro della giustizia mauritano Brahim Old Daddah, ha salutato favorevolmente il testo della nuova legge, che prevede una pena detentiva raddoppiata rispetto alla legge del 2007: da dieci anni di reclusione, è stata portata a venti. Inoltre sono state criminalizzate undici forme di schiavitù, rispetto a una sola. Il vecchio testo dava semplicemente questa indicazione: “Per stato di schiavitù s’intende privazione della libertà e lavoro non retribuito”.
Il matrimonio forzato delle donne “previo pagamento in contanti o in natura” e la loro “cessione a una terza persona o per successione alla morte del marito ad altra persona” rappresenta ovviamente una delle nuove forme di schiavismo. Molte donne sono destinate ad essere vendute come schiave in Arabia Saudita, e, per i loro padroni, violentare una schiava non è un reato, anzi, fino a ieri era un diritto.
Da oggi in poi anche le “ONG” autorizzate potranno denunciare i casi di schiavitù, assistere le vittime, costituirsi parte civile e denunciare i colpevoli.
La nuova legge è stata varata proprio pochi giorni prima del processo alla Corte d’appello di Aleg, a carico di tre attivisti anti-schiavismo. La data dell’udienza è fissata per il 20 agosto. Tra gli imputati anche Birma Dah Abei, presidente dell’ Initiative pour la Résurgence du Mouvement Abolitionniste (IRA), già condannato a due anni di carcere insieme a un altro militante il 15 gennaio 2015 per appartenenza ad un’organizzazione non riconosciuta.
Questa nuova legge rappresenta certamente una rivoluzione dal punto di vista giuridico e sociale in uno Stato islamico come la Mauritania anche se ci si deve rendere conto che per un ex-schiavo sarà comunque difficile integrarsi come “uomo libero” nella società e far valere i propri diritti, per esempio davanti ai tribunali.
Una ragazza, che ha vissuto in stato di schiavitù in Mauritania, è stata liberata da un militante anti-schiavismo, finito per questo in prigione. La giovane ha lanciato una petizione su avaaz.org (https://secure.avaaz.org/it/mauritania_anti_slavery_biram_loc_dn/?bckudfb&) per chiedere il rilascio del suo salvatore e ha spiegato la sua iniziativa in un’intervista in cui racconta la sua terribile esperienza.
“Sono diventata una schiava a 5 anni. Ogni giorno badavo agli animali, e ogni notte venivo stuprata dal mio padrone. Era l’unica vita che conoscevo, e vi giuro che pensavo fosse normale.
Perché nel mio paese, la Mauritania, centinaia di migliaia di persone vivono ancora in schiavitù. Ma io sono stata fortunata: mio fratello è riuscito a scappare, ha trovato un’organizzazione che lotta contro la schiavitù e gli ha chiesto di liberarmi. All’inizio non volevo assolutamente che mi portassero via: non riuscivo a immaginare una vita senza i miei padroni, senza dover lavorare ogni giorno, anche quando ero incinta o a un giorno dal parto. Era l’unica vita che conoscevo.
L’uomo che mi ha salvata, e che ha dedicato tutta la vita a liberare migliaia di persone come me, per questa lotta è stato ora messo in carcere. Ma tra 4 giorni ci sarà un ricorso in tribunale e possiamo liberarlo. Se ci aiuterete da tutto il mondo, a centinaia di migliaia, chiedendo la libertà di Biram Dah Abeid, potremo permettergli di continuare la sua lotta contro la schiavitù.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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