Speciale per Africa Express
Elisa Mereghetti e Marco Mensa
Bologna, 21 luglio 2015
La recente cattura (o resa volontaria, difficile saperlo con certezza) di Dominic Ongwen, uno dei tre capi supremi del Lord’s Resistance Army (LRA), ha riproposto all’attenzione pubblica alcune difficili questioni, che attengono agli intricati processi di pace e riconciliazione nel nord Uganda e nella regione dei Grandi Laghi.
Ongwen, oggi in attesa di processo al Tribunale de L’Aia, ha una storia molto particolare, se non unica. Fu rapito dai ribelli del Lord’s Resistance Army quando aveva 10 anni (13 anni secondo alcuni). La sua sorte sembrava essere quella di altri 60.000 bambini dell’Uganda settentrionale, rapiti e costretti a diventare soldati nel migliore dei casi, e nel peggiore, uccisi al minimo accenno di ribellione.
Ma Dominic Ongwen evidentemente era un ragazzo intelligente e di carattere, e da semplice “rapito” riuscì a fare carriera nei ranghi dell’esercito ribelle, fino a diventarne uno dei capi, e così a sopravvivere nella giungla per oltre 25 anni a fianco di Joseph Kony. Il capo indiscusso dell’LRA non ha esitato a uccidere quei luogotenenti che potevano rappresentare per lui una minaccia. Ha invece risparmiato Dominic Ongwen, probabilmente perché ne apprezzava il valore militare, o il carattere appunto. Non lo sapremo mai.
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Ciò che sappiamo è che dopo 25 anni Ongwen nel gennaio di quest’anno riemerge dalla foresta nella Repubblica Centroafricana e si consegna ai ribelli di quel paese, che lo rimettono agli americani, che a loro volta lo affidano all’esercito ugandese. Dopo qualche tentennamento, il governo di Kampala lo gira al Tribunale Internazionale de L’Aia, dal quale Ongwen è accusato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra.
E qui sta la contraddizione centrale. Ongwen ha partecipato alle azioni più atroci della LRA, ha ordinato l’esecuzione di massacri (come quello di Makombo, Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo del dicembre 2009), ha ucciso, stuprato, mutilato egli stesso centinaia, forse migliaia, di persone innocenti. Ma, come sottolineano i capi religiosi della popolazione Acholi, in un loro comunicato emesso dopo la cattura di Ongwen, la domanda che tutti dobbiamo porci in primo luogo è: “Come è finito Dominic Ognwen nelle mani dell’LRA?”.
Un interrogativo, apparentemente banale, che però evidenzia un fatto e una risposta dirompenti: l’uomo di 35 anni che è oggi Ongwen resta in fondo il prodotto di una violenza “a priori”, l’evoluzione tragica e contraddittoria di quello che era un bambino innocente, rapito e addestrato ad uccidere.
Nel documentario Kevin – will my people find peace? una giovane giornalista ugandese, Kevin Doris Ejon, raccoglie le storie di giovani che, come Ongwen, sono stati rapiti, e che dopo molti anni passati nella foresta, in condizioni di vita disumane, compiendo essi stessi azioni efferate, sono riusciti, spesso in maniera rocambolesca, a fuggire dall’LRA e a tornare a casa.
Ma la loro speranza di potersi reintegrare nelle comunità di appartenenza è estremamente difficile, tanto che molti decidono di trasferirsi lontano dal loro villaggio di origine. Le comunità però non li accettano, hanno paura di loro, dei crimini che hanno compiuto mentre erano con i ribelli, dell’orrore che a volte si scorge dietro il loro sguardo.
Come racconta una testimone intervistata presso la cooperativa Wawoto Kachel di Gulu, che si occupa del reinserimento sociale ed economico dei reduci: “Da quando siamo tornati tutti ci guardano, e dicono: ‘vedi quelli sono rientrati dalla foresta’. Ma non sanno quello che abbiamo passato laggiù, che abbiamo visto, che è nella nostra mente. Quando la gente mi chiede di quel periodo, nella mia testa ricompare tutto quello che ho vissuto. Ho visto tanta morte, tante atrocità. La gente non sa, o non vuole ricordare, che siamo stati presi contro la nostra volontà”.
Il processo a carico di Dominic Ongwen dovrà affrontare contraddizioni profonde. La sua testimonianza, e quella di quanti saranno chiamati a deporre, servirà forse a definire una prassi, un percorso giuridico, un approccio morale e potrebbe rappresentare una pietra miliare nel cammino verso la conquista di una pace duratura in nord Uganda. Una pace che non potrà prescindere dalla questione delle migliaia di bambini soldato ormai diventati adulti, che furono costretti con la violenza a diventare ribelli, e che oggi non riescono a scrollarsi di dosso quell’etichetta scomoda, quel marchio infamante.
Elisa Mereghetti
Marco Mensa
Il documentario KEVIN – WILL MY PEOPLE FIND PEACE?, una produzione ETHNOS per la regia di Elisa Mereghetti e Marco Mensa, ha vinto il premio “Miglior Lungometraggio” al Festival Internazionale “Un film per la pace” 2015 di Medea (Gorizia)
www.ethnosfilm.tv/kevin
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