Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 26 luglio 2015
Durissimo il presidente americano nel discorso finale, stamattina, nello stadio Kasarani di Nairobi gremito fino all’impossibile: “La corruzione è un cancro che danneggia lo sviluppo economico e deteriora le società. Ogni tangente in più vuol dire posti di lavoro in meno. Dovete combatterla e cominciare finalmente a processare seriamente i corrotti”. E giù applausi: “La corruzione non va accettata e tollerata come una cosa naturale, cui non c’è rimedio. Anche negli Stati Uniti c’è malaffare ma noi lo combattiamo. Io vengo da Chicago, patria di Al Capone”. Un incoraggiamento ai giovani: “Dovete combatterla, cambiando le abitudini e la cultura del malaffare; la stampa libera è importante per partecipare al cambiamento”.
Poi è tornato ad affrontare il problema della violazione dei diritti umani: “E’ inammissibile che le donne siano considerate cittadini di seconda classe. I genitori devono dare alle figlie femmine le stesse opportunità dei maschi. Non c’è posto per cattive tradizioni nel ventesimo secolo. Combattere la mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, la violenza sulle donne anche quella domestica. Non ci sono scuse e non vale appellarsi alle tradizioni. Alcune tradizioni nocive , come queste, vanno sradicate”.
Un discorso moderno, fortemente liberale e progressista durante il quale ha ringraziato più volte il suo ospite il presidente Uhuru Kenyatta, che però ha pure rimproverato. “Io sono un keniota americano”, ha urlato al microfono tra gli applausi, aggiungendo una chiara, anche se non diretta critica: “La democrazia comincia con elezioni libere e senza violenza”, un riferimento alle penultime elezioni in Kenya segnate da massacri di natura tribale che hanno portato all’incriminazione davanti al tribunale internazionale dell’attuale presidente (assolto in istrutoria) e del suo vice William Ruto (ancora sotto processo).
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“Noi lavoriamo per un ideale, vogliamo costruire una società migliore. Questo vale per gli Stati Uniti e deve valere anche per il Kenya”, ha sottolieato.
“Freedom of the press”, ha scandito in un altro passaggio. Cioè la stampa dev’essere libera. E poi ancora: ”Attenzione, democrazia vuol dire che ci dev’essere sempre qualcuno che non è d’accordo su qualcosa che fa il governo”.
“Combatteremo fianco a fianco con voi il terrorismo”, ha promesso e ha rivolto un elogio ai musulmani: “Sono minoranze in America come in Kenya, ma hanno dato un forte contributo alla crescita dei nostri Paesi”.
Ha poi criticato il tribalismo rubando, senza citarlo, un comento lapidario ad Albert Einstein: “Facciamo parte tutti di una sola tribù, quella umana”,
Un discorso accattivante quello di Barack Obama, durante il quale non ha parlato da presidente, ma da amico. Ha colpito assieme il cuore e il cervello . Le sue parole gli hanno permesso di essere non solo applaudito ma addirittura osannato.
Il suo intervento è stato introdotto dalla sorella Auma con un breve intervento con il quale ha ricordato tutta quella parte della famiglia che vive in Kenya. Ma soprattutto ha puntato sul fatto che Barack è l’incarnazione del sogno americano: “Mio fratello Hussein – ha usato volutamente il nome musulmano che nessuno adopera più – è il simbolo di chi può realizzare il proprio sogno anche partendo da una famiglia povera”.
Massimo Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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