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Libia, proposto uno scambio: “Liberate gli scafisti arrestati e libereremo i 4 rapiti italiani”

Africa ExPress
Tripoli
22 luglio 2015

È un sequestro rompicapo quello dei quattro tecnici italiani di Bonatti in Libia. Sono quattro le piste principali che gli inquirenti e i servizi segreti seguono, senza escluderne e privilegiarne nessuna, perché per tre di loro esistono precedenti recenti. E anche l’ultima, la peggiore, quella terroristica, è purtroppo possibile.

Più possibile di qualche mese fa, guardando gli sviluppi della regione. L’intelligence italiana è la più presente in Libia, eppure risulta ad Africa ExPress che sul rapimento, tra il 20 e il 21 luglio 2015, di Fausto Piano, Gino Pollicardo, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, operai specializzati della società di Parma general contractor dell’impianto Eni di Mellitah, “brancoli ancora nel buio”.

La pista che prende corpo nelle ultime ore è quella di trafficanti di esseri umani – a Sabratha e nella vicina Zuara operano i network criminali delle tratte di migranti verso Lampedusa e i quattro italiani viaggiavano in auto da Zuara a Mellitah, nel territorio di Sabratha – in risposta alla missione militare UE, partita a luglio, contro gli scafisti.

Fonti riservate di Sabratha hanno riferito ad Africa ExPress che i rapitori dei quattro tecnici hanno intenzione di proporre uno scambio: “Li rilasceremo  in cambio della liberazione di sei scafisti  di Zuara, arrestati dalle navi italiane. I loro parenti li rivogliono indietro”.

All’inizio di giugno gruppi criminali attivi anche nella tratta di migranti avevano rapito l’amministratore della Mellitah Oil and gas, joint venture tra la National Oil Company libica (50%) ed ENI (50%).

Youssuf al Shamani è stato rilasciato pochi giorni dopo, dopo il pagamento di un cospicuo riscatto. Anche l’ambasciatore libico a Roma Ahmed Safar ritiene la più probabile la pista che “uno o più trafficanti abbia agito in rappresaglia alla missione internazionale”. Un’ipotesi che implicitamente si lega alla pista del sequestro a scopo estorsivo da parte di criminali.

In Libia trafficanti di esseri umani e criminalità comune sono ambienti contigui, a volte identici. Anche in questo caso, esiste il precedente del tecnico italiano Marco Vallisa, sequestrato per soldi nel 2014 e poi liberato. Safar tende a escludere, come anche il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, “motivazioni politiche, molto improbabili”, dietro al rapimento.

Un atto intimidatorio e ricattatorio, cioè, degli islamisti del parlamento di Tripoli per il ruolo avuto dall’Italia nella mediazione ai negoziati sulla Libia dell’ONU. Sabratha, 70 chilometri a ovest di Tripoli, è governata dagli islamisti vicini agli amministratori della capitale che nelle scorse settimane hanno rifiutato l’accordo per il governo di unità nazionale.


Dal 2014 in Libia esistono due parlamenti, l’esiliato a Tobruk e quello auto-proclamato di Tripoli. Nella bozza ONU, il potere legislativo andava tutto ai nemici di Tobruk. Dalla liberazione, il 9 giugno scorso, del medico italiano Ignazio Scaravilli, sequestrato nella capitale per sei mesi, grazie alla mediazione del governo islamista, si specula sulla riconsegna del connazionale in cambio di un presunto riconoscimento internazionale chiesto dal parlamento di Tripoli. Per quasi una settimana Scaravilli è stato trattenuto nella capitale dalle autorità “per adempimenti di rito”.

Ora il maxi-sequestro degli italiani cade mentre i negoziati ONU sono a un punto di svolta. Gentiloni getta acqua sul fuoco negando retroscena? Un sequestro politico potrebbe comunque avere finalità più semplici: è routine delle milizie islamiste, tra l’altro, sequestrare stranieri e libici facoltosi a scopo di autofinanziamento, pratica anche del cosiddetto esercito delle tribù (Jeish Al Qabai), vicino ai rivali di Tobruk.

Tutte le milizie libiche sono vicine alla criminalità comune e alcune, in particolare nella zona di Sabratha, sono vicine ai jihadisti di Ansar al Sharia. Di Scaravilli si è scritto che era stato catturato da criminali comuni legati ad Ansar al Sharia e a Sabratha, secondo le confinanti autorità tunisine c’è un campo dove si sarebbero addestrati anche gli autori delle stragi del Bardo e di Sousse.

Nelle settimane precedenti al sequestro, inoltre, la sicurezza si è ulteriormente deteriorata nella zona. I quattro italiani rientravano in auto in Libia dalla Tunisia, in quel punto, e potrebbero essere finiti nelle mani di Ansar al Sharia che a Bengasi e a Derna si è proclamata Isis. Come in Siria, i rapiti potrebbero essere rivenduti di gruppo in gruppo, fino a finire dai tagliagole dell’Isis: è questo il timore più grande dell’intelligence italiana.


Molte cose di questo sequestro sono poco chiare. Perché i tecnici di Bonatti viaggiavano in auto, in una zona ad alto rischio e senza scorta, quando i dipendenti italiani dell’ENI, dalla chiusura dell’ambasciata a febbraio, lavorano solo nei siti offshore spostandosi in traghetto o elicottero? E perché l’autista è stato salvato?

Sono incerte anche il luogo e l’ora esatte del sequestro: a Sabratha nei pressi della destinazione Mellitah oppure più a ovest, ancora nel territorio di Zuara, dove operano milizie diverse. Fonti di Africa ExPress dicono “lungo la strada costiera, esattamente tra Zuara e Sabratha”, cioè presumibilmente al posto di blocco di una milizia.

Ad aprile, parlando dell’ENI come “dell’unica società internazionale a pompare gas e petrolio a quote invariate in Libia”, il Wall Street Journal raccontava della protezione di “milizie e tribù” di cui godevano gli italiani in Libia. Ufficialmente il Cane a sei zampe negava, ma accordi con “tutti gli schieramenti” sarebbero stati stretti dall’azienda per operare.

Questa protezione ora è venuta meno? Perché? L’impianto di Mellitah (nella cartina, a ovest di Tripoli, terminal sulla costa tra i giacimenti offshore e i pozzi nel deserto) è collegato alla pipeline del gas Greenstream nel Mediterraneo, la più grande d’Europa. Bonatti, riportava il foglio americano, “ha alcuni degli ultimi espatriati occidentali ancora al lavoro in Libia. Personale che, secondo fonti bene informate, aiuterebbero in alcuni arrangiamenti sulla sicurezza”.

Africa ExPress

Redazione Africa ExPress

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