Rapiti 4 italiani in Libia ai confini con la Tunisia

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Africa ExPress
Tripoli
20 luglio 2015

La Farnesina ha confermato che quattro italiani dipendenti della società Bonatti costruzioni  i tecnici Fausto Piano, Gino Pollicardo, Filippo Calcagno e Salvatore Failla – sono stati rapiti a Mellitah, in Libia vicino al confine con la Tunisia. La Bonatti, gruppo di Parma general contractor nel settore oil and gas che da anni opera in Libia, lavora su commissioni anche per l’ENI.

Il 15 febbraio scorso, al momento della chiusura dell’ambasciata nella nostra ex colonia, la Farnesina aveva rimpatriato un centinaio di italiani, gli ultimi che avrebbero dovuto essere presenti in Libia, dopo l’attacco dell’ISIS a Sirte e la presa d’atto di infiltrazioni jihadiste anche nella capitale Tripoli. Già nell’estate del 2014, durante i pesanti combattimenti all’aeroporto di Tripoli, l’ambasciata aveva invitato con urgenza gli italiani ad abbandonare il Paese.

IMPIANTI OLIO

A Mellitah c’è il quartier generale dell’ENI, da lì parte il gasdotto Greenstream – il più grande d’Europa – per Gela, in Sicilia, e viene lavorato il gas e il petrolio di vari giacimenti, anche offshore. C’è anche un piccolo porto da cui partono illegalmente migranti per raggiungere l’Italia. Mellitah si trova nella municipalità di Sabratha, tra le città libiche dov’è più forte Ansar al Sharia, gruppo islamico jihadista che a Bengasi e a Derna è passato nell’ISIS.

mappa

Nella regione, al confine con la Tunisia, sono anche presenti campi per jihadisti dove, secondo le autorità tunisine, si sarebbe addestrato l’autore della strage di Sousse insieme con gli attentatori del museo del Bardo. L’influenza di Ansar al Sharia a Sabratha, negli ultimi mesi, si sarebbe rafforzata. Ma il rapimento potrebbe essere anche opera di criminali comuni: esiste il precedente, nella stessa zona, del sequestro nel 2014, a scopo estorsivo, del tecnico italiano Marco Vallisa, rilasciato dopo quattro mesi di prigionia.

Interpellata sulla sicurezza del suo quartier generale a Sabratha, ad aprile 2015 ENI aveva preferito non commentare: ufficialmente, dal febbraio scorso tutto il personale italiano era stato ritirato dalla terraferma, per operare offshore. Gli impianti gasieri e petroliferi avrebbero continuato a estrarre e trattare i materiali ma con personale locale.

Nel settembre 2014 Africa ExPress aveva cercato di contattare la ditta Bonatti – la cui sede è sulla strada per l’aeroporto di Tripoli bombardato – per sapere se, nonostante tutto quello che stava accadendo in Libia, avesse deciso di restare o di ritirarsi, ma nessuno aveva voluto rispondere alle domande. Dalle informazioni ricevute dall’ambasciata italiana, allora Bonatti figurava insieme con l’ENI e altre aziende italiane “operante a ranghi ridotti in campi chiusi o in piattaforme offshore”.

Più tardi, alla chiusura della sede diplomatica, il quotidiano online Lettera43 riportava che “una multinazionale nella costruzione di pipeline come la Bonatti ha richiamato i suoi tecnici dalla Libia, molto prima di quanto avesse fatto la Farnesina”. Cosa evidentemente non vera, almeno pochi mesi dopo. Nel gennaio 2014 sulle spiagge tra la Sabratha e Mellitah furono trovati i cadaveri di due occidentali, un britannico e un neozelandese. Morti non ancora appurate dalle indagini ma si sospetta Ansar al Sharia.

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