Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 10 luglio 2015
Moussa Dadis Camara, ex-capo della giunta militare che il 23 dicembre 2008 con un colpo di Stato prese il potere in Guinea, è stato formalmente incriminato dai giudici del suo Paese per il massacro avvenuto in uno stadio di Conakry il 28 settembre 2009. Durante una manifestazione contro il governo, centocinquantasei persone furono uccise dai “berretti rossi”, gli uomini della guardia presidenziali e da soldati impiegati per contenere la folla. Centinaia i feriti. Altri furono deportati, ma di loro non si è saputo più nulla. Oltre mille donne e ragazze furono violentate, stuprate dai militari. Nessun cittadino della Guinea potrà mai dimenticare quel giorno.
Due mesi dopo, Camara uscì dalla scena politica del suo Paese. Gravemente ferito alla testa da una pallottola, sparatagli dal capo della guardia presidenziale, Abubakar “Toumba” Diakite, perché lo aveva ritenuto colpevole dei terribili fatti allo stadio, venne dapprima curato in un ospedale in Marocco. In seguito si è stabilito in esilio a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, dove risiede tutt’ora.
Nel 2010 l’ONU ha costituito una commissione d’inchiesta e altre indagini sono state compiute dai giudici guineani: i risultati hanno portato all’incriminazione di Camara e di altre quattordici persone, tra loro l’allora capo di Stato maggiore e il ministro della Difesa. Le famiglie delle vittime hanno dovuto attendere sei lunghi anni, ma finalmente, ieri, 8 luglio, i giudici della Guinea hanno bussato alla porta dell’abitazione di Camara a Ouagadougou, notificandogli i capi d’imputazione.
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In Giugno Camara aveva sorpreso tutti, dichiarando di volersi candidare per le prossime elezioni presidenziali in Guinea, che dovrebbero svolgersi a ottobre di quest’anno. Da qui la reazione di Sekou Cherif Fadiga, portavoce del partito dell’ex-golpista, il Patriotic Front for Democracy and Development, che ha subito commentato: “L’incriminazione è puramente di carattere politico, visto e considerato che il dossier è rimasto chiuso in un ufficio per ben cinque anni”.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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