Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1° Luglio 2015
Rapite, stuprate, bruciate vive nelle loro povere capanne. Ecco il destino di molte giovani donne e bambine in Sud Sudan, il più giovane Stato del globo terrestre. Infatti questo paese ha ottenuto l’indipendenza dal Sudan il 9 luglio 2011. Un triste anniversario: nel Paese si consuma un conflitto interno dal dicembre 2013, paragonabile solamente a quella della Repubblica Centrafricana. In entrambi i Paesi si fugge per non essere ammazzati, si muore di fame, di stenti, per violenze subite; il tutto si svolge lontano dai cronisti e dalle telecamere dei media, nel silenzio, nell’indifferenza dei più.
Ieri, la Missione dell’ONU nel Paese (UNMISS) ha denunciato in un rapporto come lo stupro e la violenza contro le donne siano tra le armi più atroci in guerra. Ma nel Sud Sudan si va anche oltre. Nell’Unity State (ricco di petrolio) le truppe del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) e gruppi armati alleati avrebbero persino arso vive, le proprie vittime nelle loro povere capanne. Le crudeli esecuzioni sono avvenute tra aprile e giugno 2015. I soldati avrebbero lanciato una campagna di violenze senza precedenti contro la popolazione di questo Stato, costringendo alla fuga oltre centomila persone.
Gli investigatori di UNMISS hanno ascoltato 115 persone, vittime sopravvissute e testimoni oculari. Hanno riportato verità atroci, rare da vedersi persino in un film horror: donne rapite, stuprate, derubate delle loro povere cose, bruciate vive nelle loro capanne, violentate di fronte ai propri figlii. Per ricevere informazioni sul nascondiglio dei ribelli, una donna è stata costretta a tenere in mano pezzi di carbone ardente.
In una conferenza stampa, la rappresentante del segretario generale dell’ONU, Ellen Margrethe Løj, che ricopre anche l’incarico di direttore dell’ UNMISS, ha commentato: “Il fatto di aver raccontato ciò che è accaduto, è la sola speranza che questa ingiustificabile ondata di violenza non rimanga impunita. Chiedo inoltre alle autorità del Sud Sudan di autorizzare gli investigatori che indagano sulle violazioni dei diritti umani a entrare nelle aree dove sono avvenute queste atrocità”.
All’inizio del mese Toby Lanzer, uno dei coordinatori per gli affari umanitari dell’ONU, è stato espulso dal Paese. Il governo sud sudanese respinge qualsiasi coinvolgimento in queste ultimi terribili fatti e ha espresso parere favorevole affinché vengano effettuati ulteriori accertamenti sull’accaduto. In passato i responsabili di SPLA hanno sempre negato l’accesso ai funzionari dei diritti umani nei territori controllati da loro, creando anche molti ostacoli dal punto di vista logistico.
Questa guerra civile, iniziata nel dicembre del 2013, per “incomprensioni” politiche tra Salva Kiir, appartenente all’etnia dinka, presidente del Sud Sudan, e Riek March, nuer ed ex-vicepresidente del Paese, ha prodotto 1,5 milioni di sfollati, oltre cinquecentomila profughi che si sono rifugiati nei Paesi limitrofi, decine di migliaia i morti.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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