EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
La politica italiana si sta conformando sempre più al modello americano, dove le commistioni profonde con l’economia allargano sempre più il solco tra ricchi e poveri. Lapo Pistelli, viceministro degli esteri, lascia la Farnesina e approda alla vicepresidenza dell’ENI. Nessuno sembra abbia nulla di dire. Anestetizzati e narcotizzati, i giornali registrano la notizia e quasi fanno a Pistelli gli auguri. Naturalmente anche Renzi fa gli auguri al neo vicepresidente, e non trova nulla di strano nel cambio di casacca.
Un giorno il capo della nostra legazione diplomatica in Nigeria mi confessò: “Qui l’ambasciatore non sono io. Chi fa la politica italiana è il capo dell’ENI. Io sono solo un passacarte”. Il passaggio di Pistelli dalla politica estera all’economia mostra dove sia arrivato il degrado morale di questo Paese. Nessuno protesta, nessuno critica (con un’eccezione, credo: solo Gasparri). Ormai è normale organizzare bunga bunga, o convegni sul niente alla Leopolda, o passare da viceministro di un governo ad una grossa multinazionale con cui da politico si erano avuti stretti rapporti.
L’Eni in questi anni è stata accusata di vari reati legati a corruzione e pagamenti di tangenti. Nei giorni scorsi il governo americano ha minacciato di portarla ancora alla sbarra. La Nigeria, il Congo Brazzaville e gli altri Paesi africani in cui opera l’ENI, secondo Transparency International, sono tra i Paesi più corrotti del mondo per le commissioni milionarie pagate sottobanco a politici e funzionari locali che rilasciano le concessioni petrolifere.
E che va a fare Pistelli in un mondo di corrotti e corruttori? Mi vengono, inevitabili, in mente ricordi precisi che fanno sorgere alcune domande, come per esempio: perché Lapo Pistelli, viceministro degli esteri, ha svolto un ruolo così importante nel tentativo di sdoganare un dittatore sanguinario come l’eritreo Isaias Afeworki (il più feroce al mondo, anche secondo rapporti delle Nazioni Unite), mentre le organizzazioni di profughi e perseguitati politici del tiranno protestavano?
Secondo fonti contattate a Washington, il governo americano sta esercitando forti pressioni (anche se definite “amichevoli”) sul nuovo presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, perché riapra un caso di corruzione che coinvolge i contratti stipulati nel 1990 per l’impianto di liquefazione NLNG (Nigeria Liquefied Natural Gas). Nello scandalo fu coinvolta anche l’ENI, che, per evitare un processo negli Stati Uniti, scelse di pagare una multa di circa 500 milioni di euro.
Ma, saldata l’ammenda, nessun funzionario nigeriano è stato punito dal governo di Abuja. Perché, si domandano i giudici d’oltreoceano?
Le autorità americane ora vogliono vederci chiaro e hanno chiesto a Buhari – che è stato eletto con la promessa di combattere la corruzione in Nigeria e con l’aiuto (dicono le malelingue, ma c’è da crederci) del Dipartimento di Stato e del Pentagono – di riaprire il caso. L’Eni e le sue consociate rischiano di tornare alla sbarra e questa volta in America.
Per quel che riguarda Lapo Pistelli occorre ricordare che è un fedelissimo di Renzi. E Renzi è stato il premier che ha nominato il nuovo presidente dell’ENI, Claudio De Scalzi, per anni capo della società in Nigeria. Il mondo del petrolio, si sa, è uno dei più corrotti e la Nigeria è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo (l’ottavo, per l’esattezza). Molti dei politici nigeriani sono o sono stati inquisiti dalla magistratura americana per corruzione o riciclaggio di denaro proveniente da tangenti. Compreso un grande amico di De Scalzi, Abubakar Atiku, ex vicepresidente ai tempi di Olusegun Obasanjo, accusato, assieme alla moglie, di corruzione, appropriazione indebita e legami con le cosche mafiose siciliane.
Io non tiro alcuna conclusione, lasciandola a chi sta leggendo queste righe.
Massimo A. Alberizzi
Nella foto in alto Pistelli e Descalzi, in basso l’ex primo ministro con Isaias Afeworki e in questo video la liberazione di due ostaggi italiani, tecnici dell’ENI, catturati dai guerriglieri del MEND e rilasciati nelle mani di Massimo Alberizzi e Mario Molinari.
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