Rapporto OCSE sull’Africa: cresce il PIL. Ma anche la corruzione

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Speciale per Africa ExPress
Andrea Spinelli Barrile
Roma, 22 giugno 2015

Il 18 giugno scorso è stato presentato, presso la sala Isma del Senato della Repubblica, il rapporto Ocse sull’economia africana per il 2015 (“African Economic Outlook 2015”), un incontro organizzato dalla Società Geografica Italiana (Sgi) e dal Centro Relazioni con l’Africa (Cra) in collaborazione con la Commissione Esteri della Camera dei Deputati e con l’Awepa (associazione dei parlamentari europei per l’Africa).

Il rapporto dipinge un Africa in rapida crescita, una terra che si dimostra oggi più che mai essere “terra di opportunità”, come è stato spesso ripetuto nel corso del convegno: secondo i dati contenuti nel rapporto infatti le economie africane evidenziano una crescita sempre maggiore che potrebbe attestarsi al 4,5% nel 2015 e del 5% nel 2016, avvicinandosi agli attuali tassi di crescita asiatici: un fattore non secondario, questo, che dimostra come la decisione di molti governi africani di legarsi a doppio filo con le economie asiatiche, in particolare la Cina, sia stata una scelta premiante, sul piano dei numeri.

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Ed è proprio contro la Cina che l’Unione Europea dovrà battersi, nel continente africano: gli investimenti diretti esteri (Ide) raggiungeranno 73.5 miliardi di dollari nel 2015, sospinti dalla crescita degli investimenti “greenfield” realizzati proprio da Pechino, ad oggi ancora il più grande partner commerciale dell’Africa proprio dopo l’Unione Europea. Un fattore non da poco, se consideriamo che l’Ue paga, per i suoi interessi, un prezzo umanitario non indifferente, se pensiamo all’esodo in atto dal Continente africano verso l’Europa. In questo senso, affermare che nei rapporti economici i benefici sono cinesi e i costi restano afro-europei non è poi tanto lontano dalla realtà. Paolo Sannella, presidente del Cra (Centro Relazioni con l’Africa) ha spiegato: “Il raddoppio della popolazione africana atteso entro il 2050 rende la modernizzazione delle economie locali di vitale importanza per incrementare la competitività del Continente e migliorare le condizioni di vita delle sue popolazioni”.

Come è stato sottolineato giustamente più e più volte durante l’incontro parlare di “Africa” è enormemente riduttivo: occorrerebbe parlare “di Afriche”: i flussi migratori, le suggestioni democratiche (ed i regimi sanguinari) ed ancora l’economia elefantiaca nell’Africa dell’est che si scontra con la corruzione endemica dell’economia “fast” del West Africa, che fa da collante a sua volta tra un nord preda di instabilità sociale (l’esempio tunisino, con un paese che nei parametri economici e in alcuni sociali era una vera punta di diamante per il Continente appena pochi mesi prima della primavera araba): in generale, scrive il rapporto, i livelli di sviluppo umano sono migliorati rispetto ai primi anni 2000, con 17 nazioni su un totale di 52 che hanno raggiunto livelli medi o alti di progresso.

Permangono, è stato spiegato, rischi di rallentamento della crescita dovuti alla permanente diffusione della povertà, cattiva distribuzione dei redditi e irregolarità degli sviluppi in materia di sanità e di istruzione: un tema, questo, analizzato con un taglio interessante dal rappresentante dell’Unione Africana Haladou Salha, che sul tema ha proposto addirittura di “presidiare i processi per corruzione”. La vera domanda che è venuta in mente a chi scrive, a dire la verità, è come sia possibile combattere la corruzione ed il riciclaggio dei proventi della corruzione in Italia se l’Italia stessa non è in grado ancora di perseguire la corruzione interna: è noto infatti che molti alti rappresentanti di molti regimi dittatoriali africani, come l’Eritrea o la Guinea Equatoriale, ma anche il Sudan, hanno interessi economici e proprietà personali in Italia, beni che non vengono in alcun modo messi a rischio come invece accade in sistemi giudiziari ed economici come Francia o Stati Uniti.

L’assunto di base è che le potenzialità di crescita del Continente non sono legate necessariamente a condizioni di partenza sfavorevoli: tutto sta nel cambiamento di equilibri geopolitici, nel modo in cui l’Africa e i suoi partner affronteranno le sfide future. Sfide come la disuguaglianza, la tutela dell’ambiente e la lotta alla desertificazione ed ai cambiamenti climatici, il terrorismo, i conflitti etnici che ancora perdurano in alcune zone del Continente: le aree con crisi ambientali, ha spiegato l’onorevole Erasmo Palazzotto, sono anche quelle ove proliferano la maggior parte dei conflitti, un dato che è decisamente interessante se inquadrato anche nei paradigmi economici dell’Ocse.

Il modo in cui si affrontano le sfide cambia radicalmente dalle condizioni di progresso che la stessa Africa sarà in grado di costruire, nonché dall’impegno delle economie più “stabili” nel farsi carico di analisi e risposte più efficaci ai problemi dell’Africa, come le emigrazioni. L’African Economic Outlook prevede e tematizza diverse opzioni in termini di policies, al fine di perseguire tale obiettivo, nel contesto delle dinamiche demografiche e spazio-territoriali, e considerando inoltre le costrizioni imposte dal contesto globale. Le prospettive di crescita dell’economia africana, e in particolare della domanda interna di beni e servizi che si ricollega al rapido incremento demografico, offrono prospettive interessanti per gli operatori economici italiani che continuano ad essere relativamente poco presenti e scarsamente competitivi.

Andrea Spinelli Barrile
aspinellibarrile@gmail.com
Skype: djthorandre
twitter @spinellibarrile

 

Nella foto l’ambasciatore Paolo Sannella e il rappresentante dell’Unione Africana Haladou Salha

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