Speciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
16 giugno 2015
Bombe senza tregua sui civili da più di due mesi e mezzo, sulle mura e sulle case della Sana’a immortalate da Pier Paolo Pasolini. Della guerra dimenticata in Yemen si è tornati a parlare solo quando i raid sauditi hanno distrutto tre palazzi del centro storico tra i più antichi al mondo, patrimonio dell’umanità dell’Unesco.
I morti ufficiali per l’ONU sono oltre 2.300, 10 mila feriti. La metà civili, tantissimi bambini. La capitale si è svuotata ma non abbastanza, con il blocco aereo non si può fuggire se non attraverso ponti umanitari. Anche gli aerei nelle piste sono stati distrutti per bloccare gli aiuti stranieri. “Ora i profughi vengono anche schedati dai sauditi”, ci dice una fonte bene informata riuscita a scappare a Gibuti.
Alcuni possono andare via, tanti altri no. A Sana’a vive ancora circa un milione di persone, più della metà dei residenti, senza acqua, benzina, gas né elettricità. Anche ad Aden, seconda città dello Yemen e capitale della Repubblica democratica popolare ai tempi della divisione, i ribelli houthi e le forze fedeli al presidente Mansour Hadi, fuggito in Arabia Saudita, si combattono aspramente. Gli scontri a terra sono violenti, dal cielo piovono bombe e la gente abbandona le case con poche cose, fuggendo dal porto.
Non esistono bombe “intelligenti”, ma quelli dall’attacco del 26 marzo della cosiddetta coalizione a guida saudita, sono raid a tappeto, indiscriminati. In un giorno si fanno anche 100 morti, per i bilanci ufficiosi le vittime sono diverse migliaia in più delle ufficiali, in un Paese già martoriato dai maxi attentati di al Qaeda. Per l’UNICEF oltre 20 milioni di yemeniti hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Come i negoziati fittizi di pace in Svizzera, la carneficina non risolve nulla. A maggio Riad ha violato la tregua umanitaria concordata con l’Onu, sferrando i raid “per difendere i sunniti dagli houthi”. Per i colloqui del 15 giugno, i ribelli sciiti che controllano la capitale e avanzano verso sud dicono che l’Egitto (alleato dei sauditi) ha impedito alla loro delegazione lo scalo per Ginevra.
Ciò nonostante gli houthi hanno preso anche la città di al Hazm, al confine con l’Arabia Saudita, proprio nel deserto dove i sauditi non volevano che arrivassero. Si vuole fare passare la guerra in Yemen come una guerra tra sciiti e sunniti, in realtà sono i sunniti e gli sciiti stranieri a usare lo Yemen per scopi personali.
Dentro la questione è politica e nazionale. I sauditi non sfondano, perché a sorpresa l’esercito è passato con l’ex presidente Ali Abdullah Saleh insieme alla minoranza degli houthi. “Come nella guerra civile del 1994, gli yemeniti hanno capito che si voleva spaccare il Paese e hanno reagito, la gente non ne può più di strumentalizzazioni, parla di inverno arabo. Purtroppo era meglio il regime che la devastazione”, spiega la fonte sentita da Africa ExPress.
Con Riad si è rapidamente schierata una cordata sunnita che non si era formata né per la Siria né contro l’Isis. “Ufficialmente è una coalizione (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Kuwait, Oman, Qatar, Egitto, Giordania, Marocco e Sudan, ndr), in realtà i raid li fanno i sauditi”. L’appoggio logistico degli Stati Uniti pare invece sostanzioso: “Prima l’aviazione di Riad non aveva piloti così esperti nei bombardamenti”.
Faide interne e manovre straniere scuotono un Paese povero di petrolio, ma strategico per il controllo dello stretto di Bab el Mandeb, tra Asia e Africa. Hadi, vice di Saleh nominato presidente ad interim dopo le rivolte del 2011, ha tradito il suo capo e il suo partito per restare al potere ma è stato cacciato dal golpe degli houthi a Sana’a del 6 febbraio scorso. Ora vuol tornare da presidente, anche a costo di insediarsi nella città di Mukalla in mano ad al Qaeda, nell’est dello Yemen. Ma i “sunniti” non riescono a controllare neanche quel fazzoletto.
Prima delle offensive verso Sana’a e Aden, gli houthi (sciiti zaiditi, un ramo molto diverso e da sempre separato dallo sciismo iraniano) sono stati armati e addestrati dai Pasdaran di Teheran, che hanno cavalcato le rivolte e la voglia di rinnovamento degli yemeniti, insidiando il cortile di casa dei sauditi. Gli aerei iraniani carichi di aiuti – anche umanitari – non passano più, ma dalla loro parte gli houthi hanno l’esercito di Saleh.
Centinaia di raid, migliaia di morti, effetto boomerang. Anziché tamponare il focolaio, la guerra per proteggere il petrolio degli Usa lo alimenta. Anche in Arabia Saudita la minoranza sciita è in fermento, kamikaze sunniti si fanno esplodere contro le loro moschee. Lo Yemen è a rischio distruzione come l’Afghanistan, l’Iraq, la vicina Somalia. “Che c’entrano i civili?” ripetono a Sana’a.
Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
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